Con che cosa siamo stati ipnotizzati questa settimana?

“Droga” legale, un selfie irriverente, alcune bustine di zucchero, dei grembiulini, un festival di lettura, un format di Rai 1 e un’estenuante partita a ping pong.
Sì, basta davvero (così) poco a fomentare, indignare e ipnotizzare le folle.
Le chiamano armi di DISTRAZIONE di massa e funzionano benissimo.

Come può germogliare tra la gente il seme della rivoluzione, se ci sono così tanti “scandalosi” fatti del giorno per i quali – comodamente – indignarsi?

Organizzazioni criminali che spacciano droghe letali (vere) sul deep web. Laureati che continuano a fuggire all’estero alla ricerca disperata di una vita (più?) dignitosa. Giovani che pur di ‘lavorare’ in Italia scelgono di accettare stage dalle pretese sempre più intollerabili. Un bisogno crescente di eludere la frustrazione attraverso qualche nuova dipendenza – che sia quella del gioco compulsivo, dell’alcool a basso costo o delle pasticche sintetiche a metà prezzo. I (ben più gravi) numeri spropositati di persone torturate e uccise senza motivo all’altro capo del Mediterraneo…

Sciocchezze. Complotti. “Problematiche” di secondo ordine, se paragonate al bisogno impellente di denudare le peggiori piaghe sociali che hanno gettato nel più profondo dei disonori i nostri tempi.

Solo questa settimana tutti concentrati su:

  • Chiudere le (non chiudibili) attività di vendita di cannabis legale.
  • Ripristinare l’uso del grembiule a scuola, perché “un paese migliore si costruisce con ordine e disciplina”.
  • Selfie col ministro per schernirlo.
  • Raccolta firme per castrazione chimica, il “solo” modo per bloccare le violenze sessuali.
  • Salone del Libro di Torino che ospita casa editrice vicina a CasaPound.
  • Salvini che non accetta l’invito di Fabio Fazio a Rai 1 perché “è comunista”.
  • Bustine di zucchero con citazioni del Duce nei bar.
  • Sottosegretario sì, sottosegretario no. Dentro, fuori. Dimissioni, non dimissioni… Il Siri-Ping Pong perfetto a delineare i confini tra il giallo e il verde a ridosso delle elezioni.

E come non citare poi gli indimenticabili degli ultimi mesi?

La diretta mondiale, secondo per secondo, dell’incendio alla cattedrale di Notre Dame. Zingaretti che di soppiatto si fa intervistare nel retropalco del Concertone indossando una felpa non sufficientemente di sinistra. Il ministro dell’interno immortalato mentre imbraccia un mitra. La multa alla piattaforma Rousseau perché troppo vulnerabile. La passione per la falegnameria di Alessandro Di Battista. I gadget fetali del Congresso di Verona. La candidatura alle europee dell’italianissimo nipote di Mussolini cresciuto in Venezuela.
E ancora, sfilze di selfie con i fan, in divisa, a mangiare arancini e piatti di Carbonara. Foto, post, tweet, video a margine di ripetitivi comizi elettorali, ospitate in qualunque programma TV (a eccezione, è ovvio, di quelli di Fabio Fazio), interviste strappate per strada e conferenze stampa.

Fatti clamorosi. Che hanno “scatenato la polemica”.

E poi, la regina delle distrazioni. Quella che imperversa da epoca immemore. Che fomenta le folle dall’alba dei tempi: la paura.

Xenofobia, caccia al nero, lotta allo zingaro, razzismo, nostalgia del fascio… Qualunque formula si scelga il principio rimane lo stesso: creare un nemico, qualcuno con cui prendersela. Qualcuno che ci distragga dai disordini veri del paese. Dalle carenze gravi. Dagli sperperi.

Qualcuno che autorizzi il nostro capo, il Leviatano, ad esercitare la forza. Una forza che lo stesso popolo gli ha concesso, cedendogli parte della sua sovranità, preferendo lui all’anarchia.

Un Leviatano che crea un nemico, lo lancia tra la folla, si sollazza mentre altri si occupano del linciaggio e infine interviene a ristabilire l’ordine, in modo ostentato e plateale, indossando un mantello da eroe e gonfiandosi di applausi.

Qualcuno ricorda com’era prima? Prima dello stato di emergenza, della nostalgia del fascio, della caccia al nero?

Ci è riuscito. Ci ha distratto. Ci ha conquistato.

“Questa democrazia così perfetta fabbrica da sé il suo inconciliabile nemico – scriveva Guy Debord nel 1988 – il terrorismo. Vuole infatti essere giudicata in base ai suoi nemici piuttosto che in base ai suoi risultati. (…) le popolazioni spettatrici non possono sapere tutto del terrorismo, ma possono sempre saperne abbastanza da essere convinte che, rispetto al terrorismo, tutto il resto dovrà sembrare loro abbastanza accettabile, e comunque più razionale e democratico”.

Come? Non ho capito.
Facciamoci un selfie va…

Benedetta Intelisano


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