Facebook si riserva la possibilità di chiudere o sospendere pagine e profili personali. Il caso più recente è quello dei leader di Casapound, pochi giorni prima era successo al neo candidato di Giorgia Meloni alle europee, Caio Giulio Cesare Mussolini. Al di là del caso specifico e delle idee, condivisibili o meno, può una piattaforma privata decidere cosa può o non può essere detto? Il blocco di un profilo sulla base dei contenuti – e dunque delle idee – pubblicati da un utente, è censura? Ne abbiamo parlato con il saggista e filosofo Diego Fusaro.

Profili bloccati per Caio Mussolini (riaperto poco dopo) e per 10 esponenti di Casapound, tra questi molti dei leader del gruppo politico: un complotto? Ideologie filo-destrorse perseguitate? In realtà nessuno è esente dal blocco del colosso. Laddove vengano violate alcune condizioni della sua community, Facebook adotta una procedura standard: prima oscura i post incriminati e poi, dopo diverse “infrazioni”, blocca il profilo. Che si tratti di cittadini, di partiti o del gruppo della briscola del villaggio, il sistema è uguale per tutti.

Facebook nel mondo reale

Per meglio analizzare la situazione si provi per un attimo a immaginare questa dinamica di “blocco” nella vita reale: c’è un signor Facebook e ci sono tante persone intorno. Il signor Facebook sente una di queste persone dire qualcosa che, per determinati motivi, non condivide. Questo signore, che non è un’autorità, si prende la libertà di interrompere continuamente i discorsi dell’altra persona. A un certo punto il signor Facebook non ha più pazienza: lo prende di peso e lo allontana, cosicché nessuno possa sentirlo. Un paragone esagerato? Certamente, in questi termini, appare un po’ forte. Ma il punto è…

Si tratta di censura sì o no?

Secondo Diego Fusaro lo è, senza alcun dubbio: E’ sempre censura quando si impedisce a qualcuno di parlare per le ragioni più varie. Soprattutto se si tratta di un impedimento dovuto a idee diverse rispetto a quelle previste. Quindi direi che sì, si tratta di una censura specifica fatta da Facebook verso idee che non sono condivise, evidentemente, dai suoi fondatori”.

Torniamo all’esempio del signor Facebook, aggiungendo però qualche dettaglio. I signori utenti adesso sono di più: da una parte c’è uno che dice che i vaccini fanno venire l’autismo, da un’altra parte ce n’è una che dice che un certo gruppo musicale le fa schifo, dall’altra c’è uno che mostra immagini violente dicendo che servono a sensibilizzare l’opinione pubblica e contemporaneamente un altro amico ne mostra di altrettanto forti dicendo che la violenza è necessaria per difendersi da altra violenza. Un limite a questo flusso di pensieri serve?

Neanche a dirlo, il pensiero collettivo è diviso. Se da un lato si percepisce un disperato desiderio di “ridimensionamento” di questo flusso continuo di pensieri che popola la rete, dall’altro il diritto di esprimere la propria opinione va sempre e comunque difeso. “Un limite c’è già – osserva Diego Fusarodovrebbe essere quello di evitare gli insulti, le offese, le diffamazioni. Ma qui si va su qualcosa di ben diverso, che sono le idee in cui crede l’individuo”.

Riprendiamo ancora una volta l’esempio di vita reale. I signori utenti si trovano per strada, urlano, si picchiano, litigano, si insultano. A placare gli animi di fronte a tutta questa violenza subentra un’autorità. La polizia, i carabinieri, l’esercito, va bene una qualsiasi delle forze di ordine pubblico socialmente riconosciute. Il Signor Facebook in questo caso non è altro che, anche lui, un signor utente qualunque.

Facebook tra libertà di opinione e anarchia

La domanda allora diventa un’altra: se un bisogno di limitare certi flussi c’è, perché dettato dall’idea che esista un bene più grande, quello della pacifica coesistenza tra individui, a chi spetta allora il compito di filtrare questo flusso? A chi tocca impedire che piombi nell’anarchia? Non si può non osservare il fatto che con la sua politica il signor Facebook vada a colmare una lacuna giuridica (e per risolverla chissà quanto ancora si dovrà aspettare).

A quanto osservato va aggiunto un altro spunto di riflessione. Come sottolinea Diego Fusaro “la piattaforma Facebook è una piattaforma privata. Piaccia oppure no è chiaro che risponda alla volontà di chi l’ha creata“.

Ciò implica che il nostro esempio di “trasposizione” della fattispecie al mondo reale non trova più collocazione in strada, ma nella casa del Signor Facebook. Accettare in blocco la policy della piattaforma al momento dell’iscrizione è come suonare il campanello di casa Facebook e scegliere di entrare nonostante il padrone di casa dica (anche se alla rinfusa) che a casa sua non si dicono parolacce. Non ci si può stupire, in linea di principio, se dopo la terza imprecazione il signor Facebook decida di buttare fuori i suoi ospiti-utenti (a suo giudizio) un po’ troppo scurrili.

“Orwell? Un dilettante”

La questione insomma è davvero complessa e articolata. Da una parte la necessità di tutela della libertà di espressione di ogni individuo. Dall’altra la troppa libertà di una piattaforma delocalizzata che fa i miliardi grazie ai dati che ciascuno gli cede gratuitamente. E in mezzo la mancanza di leggi che possano regolare la vastità dell’universo che ruota intorno all’online.

Di fronte ai grossi dubbi che queste dinamiche sollevano, e che probabilmente continueranno a sollevare ancora per un bel po’, non si può non osservare che “Siamo già nel Grande Fratello di Orwell, anzi – conclude Diego FusaroOrwell era un dilettante rispetto all’odierno totalitarismo della civiltà del mercato”.