Si possono avere le idee più diverse su Alessandro Florenzi (sul giocatore ovviamente, perché sull’uomo nessuno dovrebbe avventurarsi nel dare giudizi sommari) e sulla sua utilità per la Roma e per i tecnici che lo hanno avuto a disposizione in giallorosso; ai tempi di Fonseca, per esempio, avevamo ben presto tutti compreso che per il tecnico portoghese non era più un giocatore imprescindibile. Quel Florenzi, perlomeno, pregiudicato da malanni e infortuni vari, perché un Florenzi a pieno regime, almeno a giudizio di chi scrive, poteva avere qualche chance di collocarsi in prima fila per un posto da titolare sulla trequarti.

Peraltro, per inciso, era stato bravo e diplomatico Fonseca nel ratificare il suo status di capitano nel momento stesso in cui si profilava l’accantonamento tecnico. In un certo senso gli aveva anche rinnovato le chance di utilizzo, quando lo aveva definito un’opzione. Con Mourinho, non c’era stata nemmeno l’ipotesi che potesse cominciare un’avventura tecnica.

In tutta questa questione, delicata e da maneggiare con giornalistica cura, ciò che appare o dovrebbe apparire indiscutibile è il profilo basso che traspare dall’atteggiamento dello stesso Florenzi, soprattutto per le modalità del definitivo commiato. Gli sarebbe bastata mezza parola per attizzare quel potenziale incendio che dorme sotto la cenere di quel basso profilo. Ora che è davvero finita per lui con la Roma, questo i tifosi dovrebbero riconoscerglielo, perché è stato un modo di dimostrare se non totale attaccamento alla maglia, perlomeno un residuo rispetto.

Può aver sbagliato in passato, può non essere stato all’altezza di Totti e De Rossi come carisma – ma quanti lo sarebbero stati? – e può addirittura non aver incarnato il capitano ideale per un popolo tifoso che si nutre del tracciato storico Losi – Santarini – Di Bartolomei – Giannini – Totti – De Rossi, per l’appunto. Questo però non deve inficiare il giudizio oggettivo, o che dovrebbe essere tale, su quei comportamenti che, soprattutto in un mondo dove tutto è sempre più gridato e scomposto o in cui bastano (a lui avanzavano anche) due sostituzioni di fila per diventare maleducati, fanno la differenza quanto a stile, professionalità, compostezza. Poi, alla fine, buona carriera e buona vita, come si dice oggi. Ognuno per la sua strada ma, auspicabilmente, senza residui di rancori che non giovano a nessuno.

Paolo Marcacci