C’è, al di là dei bilanci, pur sempre qualcosa in palio stasera: la Conference League possono snobbarla i tifosi; può addirittura apparire come un peso, inconsciamente, per i giocatori; di certo però non può non interessare alla società e a un tecnico come Mourinho che potrebbe porsi, tra gli altri, anche l’obiettivo di tentare di vincerne la prima edizione.

Epilogo, che sa al tempo stesso di prologo verso un futuro che si fa ancora fatica a tratteggiare nitidamente. La Roma che scende in campo a La Spezia presenta nomi emblematici delle due dimensioni: da Santon a Darboe, per dire. A proposito di quest’ultimo: interessante la coppia con Cristante in mediana, non per la resa di stasera ma come ipotesi ventura.

C’è da dire che noi commentiamo, ipotizziamo scenari preventivi, preconizziamo contenuti e contempliamo casistiche varie, poi vanno in scena prestazioni come quella con cui la Roma si consegna a uno Spezia tanto tranquillo quanto volitivo nello sciorinare il suo solito, riconoscibilissimo spartito e l’ormai proverbiale intensità del calcio di Vincenzo Italiano. Cristante e gli altri romanisti trascorrono la prima frazione a tentare faticosamente di balbettare calcio, quasi sempre in balia di Estevez – mai così “tuttocampista” – e compagni e molto spesso passivi di fronte alle incursioni spezzine che costringono Fuzato a sfoderare una serie di interventi.

Nel frattempo, al “Mapei” il Sassuolo fa il suo contro una Lazio che è stata imbastita a fatica da Inzaghi. Prevedibile al cinquanta per cento, allora, questo confronto a distanza per guadagnarsi la terza, inedita Europa.

Roma in Conference League alla fine: l’obiettivo minimo non salva la stagione; la rende solo meno amara.

Il secondo tempo registra infatti il progressivo ritorno dei giallorossi, che devono a loro stessi quantomeno di doversi riprendere il decoro dell’atteggiamento e di ciò che può restare di una prestazione. La riapre El Shaarawy con una conclusione secca e tesa, di prima, dopo un alleggerimento avventato della retroguardia ligure; il due a due lo firma un inesauribile Mkhitaryan, con una carezza di tacco, intelligente quanto tempestiva, con la quale capitalizza una sponda di testa di Dzeko a spiovere.
Nel finale, si rivede Pastore con un paio di confetti tecnici dei suoi.

Paolo Marcacci