La Roma non merita il passivo che si è prodotto, anzi dilatato nel corso dei minuti. Anche questo spiega la frustrazione finale e un qualche sintomo di arrendevolezza.

Dall’attesa, tradotta in giorni e ore, una cosa abbiamo avuto chiara, per l’ennesima volta: i tifosi giallorossi sanno sempre andare oltre, quando la Roma chiama; anche quando la Roma non meriterebbe che le si rispondesse, il che si traduce in un incondizionato amore al quadrato.

Così arriva il momento in cui Old Trafford diventa erba da calpestare; fantasma da esorcizzare, memoria dolorosa da (tentare di) rimuovere.

Fonseca se la gioca con il migliore dei suoi mondi possibili e assemblabili, a livello di formazione: Cristante nel pacchetto difensivo ma pronto ad alzarsi per fare densità davanti, con l’abbassamento simultaneo di Spinazzola e Karsdorp; Diawara a sbrogliare matasse con Veretout che tenta di trovare varchi; Pellegrini con Mkhitaryan e Dzeko più su. Questi ultimi due a Manchester hanno vinto da sponde opposte, si fanno ancora ricordare, hanno un motivo in più per aver fame. Come Smalling, del resto.

Carattere, autostima, occupazione strategica degli spazi: questa la Roma allestita e impostata da Paulo Fonseca nel primo tempo.
Con la perdita di tre titolarissimi in corso d’opera.
Infatti il primo quarto della doppia sfida se ne va con il vantaggio romanista in rimonta, dopo lo scavetto di Bruno Fernandes al decimo minuto: rigore di Pellegrini e uno a due firmato, grazie all’assist dello stesso Pellegrini su imbeccata di Mkhitaryan, da Dzeko che deve solo soffiare verso la rete l’uno a due che manda di traverso la caramellina a Solskjaer.
Al termine della prima frazione forse anche i cardiologi romanisti hanno finito per accusare palpitazioni: scandito da una punteggiatura di infortuni pregiudicanti di uomini fondamentali (Veretout, Pau Lopez, Spinazzola).

Nel secondo tempo, ribaltato da una serie di casualità e dall’errore tecnico di Mirante in occasione del tre a due, la partita non la vince lo United: non vi sembri una provocazione. Perché la vincono gli episodi, con un rigore, quello del quarto gol inglese, che non ci convincerebbe nemmeno alla millesima riproposizione.
È stato certamente veemente nella seconda parte il ritorno dei Red Devils, ma la Roma non merita il passivo che si è prodotto, anzi dilatato nel corso dei minuti. Anche questo spiega la frustrazione finale e un qualche sintomo di arrendevolezza.

Il finale lo lasciamo ad Al Pacino, nei panni di Donnie Brasco, quando arriva anche il sesto e quando il Manchester fa leva sulla disunità e sull’avvilimento romanista: – Che te lo dico a fare… –

Paolo Marcacci