Siamo a un passo dal lockdown nazionale? Il Premier Conte questa mattina negli incontri che si sono tenuti alla Camera e al Senato ha fatto presente che così come le ultime attività a riaprire dopo il blocco di marzo sono state quelle di bar, ristoranti, teatri, cinema e palestre, allo stesso modo si procederà gradualmente in senso contrario per cercare di arginare il più possibile la diffusione del contagio. Se ne deduce che laddove questo stop parziale non dia risultati evidenti, il blocco totale dovrà considerarsi conseguenza certa.

È dello stesso avviso Guido Bertolaso, che prende però le distanze dalle scelte fatte nei mesi scorsi dal Governo: si poteva e doveva fare di più, secondo l’ex direttore del Dipartimento della Protezione Civile oggi consulente per la gestione Covid di Lombardia, Marche e Sicilia, e questo perché la seconda ondata era del tutto prevedibile.

Lo ha detto in diretta ai nostri microfoni in questa intervista di Ilario Di Giovambattista, Stefano Raucci e del Direttore di Tuttosport Xavier Jacobelli. Ecco com’è andata.

Siamo in guerra

“Purtroppo temo che la nuova struttura di Milano si riempirà presto, ha delle dimensioni molto grandi e sta lavorando. Da tutte le Regioni d’Italia – anche quelle che snobbavano queste iniziative – chiamano per chiedere i progetti e i disegni.

Il bollettino oggi è di guerra, forse non abbiamo capito che siamo ancora in guerra. Quest’estate c’è chi si è messo a scrivere libri, chi si è messo a fare proclami dicendo che eravamo i più bravi del mondo, c’è chi si è cullato sugli allori e abbiamo perso tutto il vantaggio che avevamo conquistato nella lotta contro il virus. Ci siamo dimenticati di prepararci ad una seconda ondata, quindi oggi siamo scoperti e siamo a immaginare solo una serie di chiusura e restrizioni senza aver messo in piedi un piano di tracciabilità, con ore di coda al drive-in per fare i tamponi, con le scuole costrette a chiudere”.

Chiusura attività sportiva di base

“Il problema è complesso. Più importante dello sport, che è essenziale, è altrettanto importante andare a scuola. Io avrei fatto una politica particolare per i nostri giovani: avrei consentito loro di andare a scuola, di fare sport, adottando misure di salvaguardia e di protezione che si potevano fare con un lavoro a macchia di Leopardo, perché sappiamo benissimo che il rischio di prendersi il Covid a Milano non è il rischio che c’è ad Ascoli Piceno.

Dovevano essere capaci di adottare misure mirate quantomeno a livello regionale. Si poteva fare molto di più e in modo diverso. Lavorando per esempio a dei trasporti dedicati ai giovani studenti che impedisse loro di prendere la metropolitana che è il rischio maggiore per chi si muove.

Guardando le date non mi sorprenderei se invece di pensare che a fine novembre si apre tutto dovremmo immaginare di essere costretti a nuove chiusure. Non credo che la chiusura di bar, ristoranti alle 18 e di piscine e palestre saranno sufficienti per fermare un’epidemia”.

Nuova chiusura totale?

“Se vogliamo trascorrere Natale tranquilli una chiusura sarà necessaria il prima possibile. Altrimenti continueremo ad andare avanti con numeri che continuano a salire, chiusure parziali e localizzate, che non risolvono il problema economico né sociale, ma continuano ad aggravare quello sanitario”.

Cosa devono fare gli italiani?

“Nulla di più di quello che ci viene chiesto. Il problema è che non noi cittadini ma le istituzioni avrebbero dovuto garantire ad esempio l’esigenza di essere sicuri di tracciare tutti i casi positivi asintomatici e tutti quelli che sono venuti in contatto con casi che poi si sono rivelati positivi. Questo è l’A-B-C di una lotta a un’epidemia. Noi siamo in guerra e avevamo bisogno di un esercito di tracciatori”.


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