Quanto ci costa? Il senso della vita per le società di calcio è sostanzialmente questo. Dopo una miriade di considerazioni sull’esigenza da un punto di vista anche sociale di riprendere con il campionato di Serie A, ora le società del massimo torneo nazionale sembrano addirittura strizzare l’occhio allo stop definitivo di questa stagione.

L’emergenza Covid-19 ha messo a dura prova i bilanci, già ampiamente in rosso, di molte squadre dello stivale. La mancata ripresa dell’attuale campionato potrebbe allora esentare gli attori dirigenziali del pallone da rilevanti spese fiscali e strutturali. Tutto ciò confrontato con l’unico incasso apparentemente sicuro, ovvero quello dei diritti televisivi.

Sul tema è intervenuto, durante ‘Radio Radio Lo Sport’, l’avvocato Roberto Afeltra. In studio Ilario e Francesco Di Giovambattista.

“Dobbiamo distinguere una situazione perché ci sono alcune squadre quotate in borsa. Chi oggi va a vedere l’andamento di Juventus, Roma e Lazio in borsa vedrà che hanno delle grossissime perdite derivanti dall’indicazione del Presidente del Consiglio che dice che fino al 14 non si gioca. Quindi bisogna andare al 20 giugno. Se si parte il 20 giugno è impossibile finire il 3 agosto. E’ più che sicuro secondo me che si riprenda e se non ci saranno contagi, perché la curva scende e va tutto bene, ad un certo punto si dirà: ‘Signori, dobbiamo fare i play off e quindi un nuovo format’. Ma questo non è un problema”.

I diritti televisivi al centro del discorso

“Il problema fondamentale è che se si riprende tra 18 maggio e 14 giugno l’attività si continua, quindi i calciatori devi pagarli. Ma se poi interrompi nel corso successivo bisogna vedere cosa, come e quanto devi pagare. Comunque il punto cardine sono sempre i diritti televisivi. Perché le società se riprendono il campionato fino alla fine hanno la certezza di avere quelle somme, divise per quelli che sono i vari cespiti, ma non hanno sicuramente altro tipo di entrate. Mentre invece per incassare i 211 milioni, che dovrebbero portare a compimento fino alla fine del campionato, tutte le squadre devono spendere le cosiddette ‘spese per la produzione del reddito’. Calciatori, dipendenti ecc. Facciamo l’ipotesi che non si giochi più o che si faccia un solo mese per poi fare i play off. Le società non possono incassare altre cose se non i diritti televisivi perché le partite a porte chiuse tolgono spettatori; qui si aprirà un grandissimo contenzioso sul diritto o dovere – non dovere  di restituire in parte gli abbonamenti visto che già abbiamo i precedenti negativi per i tifosi di chi andava a giocare in campo neutro come il Catania”.

Meglio non giocare per non spendere

“Quindi le società se non giocano non hanno spese. Il campo non lo pagano perché c’è il 60% di credito di imposta è anche quella è una prestazione inesigibile. I calciatori sono inesigibili e quindi mi dispiace per loro ma un euro non lo prendono. I dipendenti sono garantiti; tutti coloro i quali hanno spese fino a 50.000 euro lorde sono garantiti con questo decreto. L’IRAP a giugno è sospesa. Se non hanno questi introiti, e quindi sono a zero, non hanno le cosiddette imposte indirette che pagano alla Agenzia delle Entrate. Perché tutte le squadre italiane hanno dei bilanci non in attivo e quindi non pagano l’IRES ovviamente. Quindi facendo un rapido conto, comprese le spese per la  sanificazione, per gli eventuali ritiri, per l’eventuale quarantena, l’unica somma che non incassano divisa per tutti sono i 211 milioni. Ma a fronte di quello, c’è una grandissima parte di spese che non verrà effettuate”.

Cosa succederà dopo?

“Quindi questo campionato, nel momento in cui dovesse essere ritenuto chiuso oppure finito con un certo format, quali conseguenze pone sui rapporti obbligatori tra le parti? Soprattutto di chi è la responsabilità che ha impedito la conclusione fisiologica? Qui ci sarà un grandissimo contenzioso tra le società, la Federazione e il Ministero della Salute o dello Sport che hanno l’indicazione che il campionato si potesse chiudere. La problematica è molto più ampia”.


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