Il Dpcm appena nato miete già le sue prime vittime. Nell’ambito sportivo è il CONI a pagare il prezzo più alto. Il testo governativo infatti ha sostanzialmente estromesso l’organo del Presidente Malagò dal diritto di veto sui documenti più rilevanti emanati dalla principali federazioni. Una decisione che sicuramente provocherà scontri nel prossimo futuro.

L’avvocato Roberto Afeltra, esperto di diritto sportivo, ha approfondito i particolari del decreto durante ‘Radio Radio Lo Sport’. In studio Ilario e Francesco Di Giovambattista e Stefano Raucci.

Ecco le parole dell’Avv. Afeltra

“Vi dico la prima bomba sul decreto che non ha detto nessuno. E’ il mezzo con il quale il Ministro dello Sport e il Governo hanno sottratto per la prima volta al CONI, dalla sua fondazione, il diritto di veto sugli statuti e sui regolamenti interni di tutte le federazioni sportive. Perché con l’articolo 221 quater, che chiamerei meglio l’articolo 233 del decreto, è stata per le stagioni 2019-2020 2020-2021 attribuita alle federazioni sportive in via esclusiva, in totale deroga di tutte le norme previste dai regolamenti federali, la decisione sulla ripresa, conclusione del campionato, attribuzione di titoli, di retrocessioni, di promozioni e soprattutto le norme di ammissione al prossimo anno. Facendo venir meno quindi i tre pilastri che sono: il requisito previdenziale, il requisito economico e quello dell’IRPEF.

Questo decreto, a mio avviso, tocca tre cose che non erano mai state fatte. Molto importanti e molte delle quali ne abbiamo parlato noi diffusamente in anteprima da questa emittente e sono: il riconoscimento della cassa integrazione per tutti i lavoratori sportivi fino a 50.000 euro di stipendio all’anno lordi e la formazione di un fondo ‘salvacalcio’ che prende i soldi in parte dalle scommesse. Dopo c’è la riduzione dei termini per impugnare i provvedimenti sportivi, ma non c’è ovviamente il ‘pendant’ del Tar e del Consiglio di Stato. Questa norma, che prima era stata tolta, poi è stata inserita nel decreto. Quindi il Ministro ha avuto il potere e la possibilità di inserire un decreto legge che, a differenza del decreto del Presidente del Consiglio, non è un atto amministrativo ma è il terzo elemento in ordine di gerarchia delle fonti. Quindi sulla base di quello saranno limitati, se non azzerati completamente, i ricorsi verso i provvedimenti che la Federazione assumerà in tema di retrocessioni, promozioni, apertura e chiusura del campionato perché per poter avere una impugnazione fattibile bisognerà prima trovare un Tar che dica che quel decreto legge abbia una violazione costituzionale.

Secondo me, e me ne assumo le responsabilità, queste norme che entrano in vigore ovviamente solo se si arriva ad una conclusione patologica della stagione sono l’anticamera per consentire alla Federazione di dire: ‘quando io faccio concludere patologicamente la stagione, cioè non si arriva alla fine dell’ultima partita, non è colpa mia perché me l’ha detto lo Stato’. Quindi le società di calcio, se si chiude la stagione dopo due o cinque partite, perderanno certamente la quota di diritti televisivi ma non potranno più chiederlo direttamente alla Federazione. Probabilmente si riparte il 14 giugno ma, a mio avviso, ci si ferma dopo poco”.


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