Dalle parole ai fatti: solo questo passaggio potrebbe dirimere la questione Totti in seno all’azienda Roma. Poi, nel primo momento utile per una pausa di riflessione ad oggi impossibile, ragioneremo sull’importanza che abbia, in un’ipotetica scala dei valori romanisti, la questione stessa, ma è un altro discorso.
Siccome ora abbiamo la parola, cioè l’eventuale (restiamo prudenti) qualifica, proiettiamoci in avanti, come fosse facile peraltro, alla Roma che verrà: cosa fa, in dettaglio e nei fatti, un direttore tecnico?

Se davvero gli fosse concesso di esercitare il tipo di operatività che richiede, per cui si sente tagliato e che lo riavvicinerebbe parzialmente alle cose di campo, pescando nella Roma di ogni epoca non c’è una figura migliore della sua: un esempio tecnicamente eccelso che cammina (in realtà gioca anche, ancora), un paradigma vivente della grandezza vissuta con questa maglia addosso, di una delle due epoche fulgide e vittoriose della società; con un nome che in vari angoli di mondo è più celebre della Roma stessa (anche per questo non sussistono i paragoni con i trattamenti subiti da Del Piero in casa Juventus e da Maldini nel Milan).

Oltre a questa inimitabile soglia di rappresentatività, va poi precisato che un direttore tecnico pienamente operativo ha compiti delicati e incisivi da svolgere fungendo da collante tra la sfera dirigenziale e quella strettamente tecnica: è il referente del gruppo, può essere colui che irrobustisce l’autorevolezza dell’allenatore, che lo protegge nei momenti meno entusiasmanti. Inoltre uno come Totti, immaginiamo, può consigliare in modo variegato i suoi giovani ex colleghi: con l’esempio, con la didattica calcistica che incarna e che può dispensare, con la conoscenza di una piazza così particolare e delle sue molteplici tensioni, quasi della sua bipolarità a livello di umori e cambi repentini degli stessi. 
Glielo faranno fare? Una dirigenza scaltra sa che prenderebbe due piccioni con una fava: una sorta di “marketing di riavvicinamento” dopo i minimi storici toccati in questi giorni a proposito di rapporti con la tifoseria e la reale operatività di quello che è stato e, diversamente da quando era in attività, può ancora essere uno straordinario uomo di campo (oltre che consulente di mercato)

A lui ci sentiamo invece di consigliare di non eccedere, una volta inaugurato davvero il proprio nuovo ruolo, nell’esposizione mediatica, anche se paradossalmente è il suo habitat naturale: altrimenti, nei momenti in cui si dovesse montare di nuovo la marea della delusione, secondo voi, con chi se la prenderanno? 

Paolo Marcacci