Mi stupisco. Mi stupisco perché esiste gente, parlo del mondo politico-amministrativo, che fa finta o magari fa sul serio quando dice di stupirsi per gli attacchi di Matteo Salvini alla sindaca Raggi e alla sua (dis)amministrazione. Il motivo di questo stupore vero o presunto è semplice: <ma come Lega e 5Stelle sono alleati, governano (si fa per dire) insieme, dovrebbero essere solidali>.

Ora, se è vero che i due partiti sono insieme al governo, è opinabile che (s)governino assieme visti i risultati e gli scontri più che quotidiani. Ma basta andare a vedere il vasto campo delle amministrazioni locali per rendersi conto che l’anomalia vera è costituita dal governo nazionale, non l’opposto. Senza l’appoggio degli altri partiti di centrodestra la Lega non avrebbe vinto né in Abruzzo, né in Sardegna, né in Basilicata. Quindi è chiaro che Salvini, rozzo, al limite del becero, ma politico capace, sta portando avanti, con successo, la politica dei due forni. Una politica che non vuole amici in politica ma solo comodi alleati.

Quindi lasciamo Berlusconi bearsi nell’illusione che Salvini torni da lui pentito e solidale, lasciamo la Meloni pensare di rappresentare una destra sempre più leghista. A Salvini questo va bene fino a che gli farà comodo. Ed è chiaro che sostenere la giunta di Roma ormai non gli faccia più nessun comodo. Roma è amministrata in un modo così sconcertante, così sgangherato da spingere la Lega e il suo leader al pensiero di poter aspirare a governarla loro. Anche perché chiunque succeda a questa giunta una certezza ce l’ha: governare peggio di così è impossibile. Con buona pace dei grillini duri e puri che sono sempre meno ma sempre più decisi a combattere fino all’ultimo a difesa del bunker del Campidoglio.

Per la Lega amministrare Roma rappresenterebbe il culmine del suo cambiamento di posizione. Dalla Roma ladrona del fu Bossi alla Roma leghista. Sarebbe il passo decisivo verso un potere duraturo e incontrastato. Perché Roma, malgrado tutte le sue iatture, le sue incongruenze, le sue difficoltà rimane un simbolo. Un simbolo importante.

Ed ecco quindi Salvini, vero istinto di cacciatore, inseguire la sua preda. Pronto a infliggerle il colpo finale o ad aspettare il suo possibile suicidio.

Marco Guidi