Il regista, al lavoro sulla sceneggiatura del libro Lei mi parla ancora di Giuseppe Sgarbi, ha rilasciato di recente un’intervista, all’interno della quale esponeva il proprio punto di vista sulla situazione attuale del cinema e della tv in Italia.

Non si è limitato a rispondere sull’universo in celluloide che lo ha reso, e lo rende tuttora, uno dei mostri sacri della cinematografia italiana Pupi Avati che, in un’intervista a “Leggo”, ha toccato diverse tematiche, dalla nomina di Lino Banfi a rappresentante nella commissione italiana Unesco al profondo rapporto con Federico Fellini.

Negli ultimi anni della sua vita ero diventato il suo confidente. Era una persona di straordinaria intelligenza e ironia. Si sentiva emarginato dal cinema italiano” ha rivelato il regista di “Storia di ragazzi e ragazze”, aggiungendo che, con Fellini, passeggiavano “per il centro di Roma e gli stranieri lo fermavano ricordando solo La Dolce Vita o Amarcord. Lui ci stava male: voleva piacere anche per ciò che aveva fatto dopo.”

Ma gli stranieri che fermavano per le strade romane i due maestri non erano gli unici a ricordare i fasti dell’epoca d’oro del cinema: lo stesso Avati, rispondendo a una domanda sulla situazione attuale del piccolo e grande schermo in Italia, ha specificato che, dopo la gestione dei grandi maestri quali Vittorio De Sica, Dino Risi, Alessandro Blasetti, Luigi Comencini e altri, il declino è iniziato “dal 1968 in poi. Si cercava la provocazione, volevamo tutti fare Otto e mezzo e non c’è riuscito nessuno. Oggi, invece, contano solo gli incassi. Come in tv: la qualità si misura con lo share.

Tra i progetti futuri del grande regista c’è spazio anche per un film su Dante Alighieri, un’opera, in cantiere dal 2001, che Avati ha immaginato per la Rai: “Mi sono mosso in anticipo di 20 anni sul centenario della morte di Alighieri. Ora ne mancano due e ancora aspetto notizie.

La trama del film sarà incentrata sulla storia di Dante, raccontata da Boccaccio che, come sottolineato da Pupi Avati, dopo la morte del poeta “andò a Ravenna dalla figlia Antonia, per portarle 10 fiorini d’oro e raccogliere notizie sulla sua vita.”