L’Europa starebbe affrontando una crisi di competitività tecnologica che ne minaccerebbe l’autonomia geopolitica.
Secondo qualcuno, chi dominerà la tecnologia avrà la libertà anche nelle scelte geo-economiche. Recentemente, infatti, il tema della competitività europea è stato affrontato in un discorso da parte della pessima Presidente della Commissione von der Leyen, ma solo dopo aver parlato di questioni geopolitiche come se fosse un argomento di minore importanza. Ormai l’incapacità dell’Europa deriva proprio da mancati investimenti in tecnologie critiche, secondo i fautori della tecnocrazia: cioè vorrebbero lo sviluppo di un’intelligenza artificiale europea.
Segnalano che l’America di Trump starebbe giocando una partita cruciale di dominanza mondiale proprio sullo sviluppo delle tecnologie critiche future, cercando di contrastare la forte ascesa del modello di sviluppo cinese. Noi sappiamo che il modello di innovazione americano è rappresentato dalla Silicon Valley, che si rigenera completamente grazie alla presenza di università, di venture capital, cioè di finanziatori che portano capitali, la sua capacità di attrarre talenti e denaro da tutto il mondo. Mentre il modello cinese si sta distinguendo per un approccio ingegneristico orientato al risultato, per velocità di costruzione e adozione di nuove tecnologie. E in questo quadro l’Europa non avrebbe un modello.
Ursula non vede o fa finta di non vedere
Non esisterebbe competitività a causa di barriere interne, burocrazia – altro che i dazi di Trump – mancanza di sinergie, incapacità di cooperare: insomma mancherebbe una strategia europea per lo sviluppo delle tecnologie. Questo è quello che pensano tutti. Io la penso all’opposto. Sarò l’unico, non importa, tanto non conto nulla.
Ma io, da un punto di vista strategico, se ci sono due grandi blocchi sulle tecnologie, che sono il blocco cinese e il blocco americano, ma che senso ha competere per arrivare al terzo posto? Mi chiedo se invece non abbia senso la diversificazione e puntare sull’umanesimo, non sui robot, puntare sull’essere umano, non sul software. Puntare sulla diplomazia, sulla capacità dell’uomo di sviluppare una cosa che il software non ha, l’empatia. Se noi mettiamo a giocare i software contro gli esseri umani, vincono i software oggi, però la grande differenza è che quando vince un essere umano esulta, n software no, perché non ha emozioni e non sa di avere vinto. Allora, invece di andare a fare la competizione sui robot e sulle intelligenze artificiali, ma perché non pensiamo di sviluppare quello che abbiamo, la nostra millenaria cultura, la nostra storia, il nostro pensiero filosofico? Così, per dire qualcosa di diverso dagli altri.
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