Finale dei Mondiali 1974 in terra tedesca. L’immenso bomber della Germania Ovest Gerd Muller, al cospetto del quale ci togliamo il cappello, sigla il 2-1 da opportunista come sempre. Quel risultato, con tutto il secondo tempo a disposizione per l’Olanda, resta inchiodato nel tabellone dello stadio Olimpico di Monaco di Baviera e regala la coppa ai teutonici.

Nella memoria degli appassionati resta più quella Olanda rispetto a quella Germania, ma ai tedeschi ovviamente importa ben poco. Quella squadra traccia un solco, divide il Mar Rosso del prima e del dopo, ed è destinata a ripetersi. Ciò accade nel 1978, ma prima ricordiamo la formazione della finalissima di Monaco. Jongbloed (il portiere delle ginocchiere ma senza guanti), Suurbier, Haan, Rijsbergen, Ruud Krol libero che poi avrebbe giocato nel Napoli, Jansen, Neeskens (giocatore immenso), van Hanegem (centrocampista straordinariamente cerebrale molto moderno); Rep che avrebbe segnato alla Juventus in una finale di Coppa dei Campioni, Cruyff capitano e Rensenbrink.

Andiamo alla finale del 1978, anche in questo caso contro una squadra padrona di casa come l’Argentina dei dittatori. Gruppo 4: 3-0 all’Iran, 0-0 contro forse il Perù più forte nella storia dei Mondiali e un 2-3 inopinato contro la Scozia ma i Paesi Bassi passano comunque il turno. Seconda fase nel gruppo A: 5-1 all’Austria, 2-1 alla Germania in una sorta di rivincita di quattro anni prima 2-1 anche all’Italia con molte addossate a Dino Zoff. Si arriva in finale il 25 giugno allo stadio Monumental di Buenos Aires. Argentina spinta dal vento della propaganda militare di Videla, spinta anche un po’ dall’arbitraggio, contro un’Olanda molto forte senza Cruyff. Minuto 37 Albiceleste in vantaggio con quell’immenso centravanti chiamato Kempes. Al minuto 82 il subentrato Nanninga fa 1-1. Senza dimenticare quel palo incredibile di Rensenbrink nell’ultimo istante utile del tempo regolamentare. Ai tempi supplementari sappiamo come è andata: ancora Kempes e poi Daniel Bertoni portano il Mondiale all’Argentina. Grande l’amarezza Orange.

Passano gli anni ma otto son lunghi” cantava Celentano, figuratevi quanto possano essere 22 anni. Dal ’78 il salto va nel 2010. Mondiale in Sud Africa simbolicamente importantissimo. Gruppo E: l’Olanda inizia con il 2-0 alla Danimarca, 1-0 al Giappone, 2-1 al Camerun. Nella fase ad eliminazione diretta 2-1 alla Slovacchia agli ottavi, 2-1 al Brasile, 3-2 all’Uruguay. L’Olanda è di nuovo in finale per la terza volta.

L’avversaria è una Nazionale che rappresenta il massimo che la sintesi tra tecnica e tattica possa offrire allo scibile calcistico: la Spagna. La Spagna dei grandissimi. Da Puyol a Iniesta c’erano davvero tutti. Cosa accade in quella partita? Succede che durante i 90 minuti regolamentari potrebbe accadere ogni cosa. L’occasione più nitida capita a Mathijsen di testa per pochi centimetri manca un’occasione monumentale che probabilmente il giocatore sarà destinato a rimpiangere per tutta la vita. Pericolosissimo anche Robben con due grandi risposte di quel portiere che è stato Casilias. Nei supplementari c’è anche un’espulsione con Heitinga costretto a lasciare la contesa per doppia ammonizione. Supplementari in cui il signor Webb offre materiale per lamentarsi molto più agli olandesi che agli spagnoli. Al minuto 116 per un mancato calcio d’angolo nasce l’azione di rimessa finalizzata da quel grandissimo giocatore Iniesta che fa secco Stekelenburg e gli Orange perdono in quel modo. Ricordiamo l’undici di quel match: Stekelenburg, Van der Wiel, Heitinga, Mathijsen, Van Bronckhorst, Van Bommel, De Jong; Robben, Sneijder, Kuyt, Van Persie. Il CT era Van Marwijk.