La svolta autoritaria che sta caratterizzando il modo della produzione capitalistico negli ultimi tempi, e che l’emergenza epidemiologica del coronavirus ha potenziato con incredibile tempismo, trova un suo preciso riscontro anche e non secondariamente nella crescente limitazione degli spazi di libertà consentiti dall’ordine del discorso dominante.

Il nostro si candida, così, a diventare il primo tempo in cui la problematizzazione critica e il dubbio socratico in quanto tali siano ostracizzati con la fortunata quanto sciocca categoria di “complottismo”, ripetuta pappagallescamente dal gregge addomesticato degli ultimi uomini della civiltà di massa. Con la categoria di complottismo, peraltro, non si fa altro che negare il diritto di esistenza a ogni discorso che non coincida millimetricamente con quello che si pretende vero, perché così han deciso i gruppi dominanti.

Insomma, è ora di farsene una ragione e di ammetterlo apertamente: anche l’ordine neoliberale sa essere repressivo e intollerante, proprio come le forme che siamo soliti definire, in relazione al ‘900, totalitarie. Il 2021, che si era inaugurato con l’esilio forzato dalle reti sociali addirittura per il presidente uscente degli Stati Uniti d’America Donald Trump, prosegue ora con coerenza con la censura dei libri (estromessi dalle librerie) che osino criticare il nuovo ordine erotico propugnato dal Ddl Zan, come è infatti accaduto in questi giorni, e poi anche con la bufera in Rai, di cui tanto si discute; bufera cagionata da una trasmissione, su Raidue, che ha avuto l’ardire di criticare quel mirabile paradiso che solo può essere osannato e che va sotto il glorioso nome di Unione Europea.

“Intollerabile, serve un cambiamento radicale”: non è una frase estrapolata da un processo della Santa Inquisizione, magari culminato con il rogo dello sventurato eretico di turno; è invece, secondo quanto riportato da” La Stampa” di Torino, il commento illuminato del sempre lucido e riflessivo segretario del “partito democratico” – mai nome fu più orwelliano – Enrico Letta. Il quale Enrico Letta, lo ricordiamo, scrisse qualche anno addietro un pamphlet inequivocabilmente intitolato “Morire per Maastricht”, che un posto a sé meriterà forse un giorno negli archivi della storia dell’ideologia politica: in effetti, il promettente titolo non chiariva quale fosse il soggetto del “morire per Maastricht” e ora sorge qualche più che legittimo dubbio che quel soggetto, a posteriori, fosse il pensiero libero. Insomma, uno sciagurato progetto come l’Unione Europea, nato come spietata controffensiva del capitale vincente dopo il 1989 contro le classi lavoratrici d’Europa, non poteva non culminare con la messa a morte della libertà di pensiero e di espressione. Morte in nome del progresso e della lotta contro tutte le discriminazioni, sia chiaro.

RadioAttività, lampi del pensiero quotidiano – Con Diego Fusaro