Lo scrisse George Orwell, lo dimostrò Ray Bradbury: non esiste il pensiero senza le parole con cui esprimerlo. I regimi totalitari per avere il controllo delle persone partono proprio da lì, dalla riduzione delle parole, dall’impoverimento del linguaggio. Secondo quanto ci dicono i dati, pare che il quoziente intellettivo della popolazione mondiale stia diminuendo anziché aumentare nell’ultimo ventennio, causando così un’inversione di tendenza rispetto agli anni del dopoguerra. Tra le cause di questo fenomeno ci sarebbe proprio il progressivo smantellamento della lingua.

Ne parla in una sua riflessione pubblicata nel 2019 lo scrittore e professore di strategia e management Christophe Clavé in un suo testo dal titolo “Diminuzione del QI, impoverimento del linguaggio e rovina del pensiero”. “Gli studi hanno dimostrato come parte della violenza nella sfera pubblica e privata derivi direttamente dall’incapacità di descrivere le proprie emozioni attraverso le parole – spiega Clavé – senza parole per costruire un ragionamento, il pensiero complesso è reso impossibile”.

Partendo dalla lettura del testo originale, Fabio Duranti e Francesco Vergovich ne hanno discusso in diretta con il Prof. Alessandro Meluzzi. Ecco il loro commento alle parole dello scrittore.

“L’impoverimento della cultura è il sacrificio della libertà. Ai veri padroni che governano il mondo secondo voi serve un’umanità libera, complessa e autonoma, o un’umanità massificata, robotizzata e cinesizzata? Perché di questo si tratta. Per loro il modello ideale è la Cina in cui nessuno è libero di pensare, la cultura delle masse è bassissima e un’élite ristrettissima comanda tutto. Europei colti che leggano Dostoevskij non servono, servono analfabeti africani per fare gli schiavi, i cinesi come modello e un’umanità di giovani inebetiti, immunizzati dall’intelligenza, microchippati e fissati di fronte a uno smartphone”.