Chi scrive non crede alla sola evidenza dei numeri; non del tutto almeno. Certo, bisogna precisare che tre punti, tre, in nove “big match” (dopo spiegheremo le virgolette) con ventitré gol subiti assomigliano tanto a una sentenza, non a una tendenza, in termini statistici.
Chi scrive, crede del tutto, però, all’evidenza dei fatti e agli atteggiamenti, anche se questi ultimi non finiscono negli almanacchi.

In una sorta di lettera aperta, allora, ci verrebbe da dire, Mister Fonseca, che chi non si vuole bene del tutto da sé non può pretendere che siano gli altri a colmare la lacuna dell’autostima e, meno che mai, che gli eventi possano volgere a suo favore, con simili premesse. Lei ieri ha detto, testualmente, al termine della partita contro il Napoli che la Roma non ha la mentalità per lottare contro questo tipo di squadre. Raramente abbiamo sentito un verdetto più spietato, a maggior ragione perché in questo caso proviene dall’interno.

Della partita di ieri, l’aspetto meno avvilente è il risultato, che tra l’altro poteva essere molto più rotondo a favore degli uomini di Gattuso. L’aspetto davvero umiliante sta nel fatto che il Napoli ha evidenziato, sin dal fischio iniziale, l’intenzione di diventare il padrone della partita e la Roma non è mai riuscita a fare alcunché non solo per stravolgere questi contenuti, ma nemmeno per metterli mai in discussione. Mai, alla resa dei conti. Da questo punto di vista, al di là di tutte le considerazioni sulle prestazioni personali, non possono esistere assoluzioni, perché non ci sono innocenti.

Proprio perché abbiamo spesso difeso una certa qualità del suo lavoro, mister, arrivando anche a rivendicare non la sua conferma tout court, ma quantomeno la possibilità di una sua conferma; allo stesso modo dobbiamo evidenziare l’aspetto più lacunoso della sua gestione: la Roma nelle partite più importanti esibisce quasi sempre l’atteggiamento di chi si consegna all’avversario; di chi parte battuto; di chi mostra l’atteggiamento, a livello collettivo, di non ritenersi degno di certi avversari. Come se la Roma non riuscisse a volersi bene del tutto; come se non stimasse se stessa quanto si stimano certe squadre quando l’affrontano.

Ed ecco allora le virgolette per l’espressione “big match”: purtroppo in serate come quella di ieri di big c’è quasi sempre solo e soltanto l’avversario; la definizione è dunque impropria e lo è per difetto della Roma, non della grande di turno che incrocia il suo cammino.

E se la paziente, dopo ogni seduta, mostra di non aver acquisito nemmeno un po’ di sicurezza in più, lo psicanalista deve per forza mettersi in discussione.

Paolo Marcacci