L’uomo nero – La verità di un arbitro scomodo. Emblematico il titolo del libro realizzato dall’arbitro Claudio Gavillucci in collaborazione con Manuela D’Alessandro e Antonietta Ferrante. La vicenda in questione parte da un fatto primario: il match tra Sampdoria e Napoli del maggio 2018. Il direttore di gara, nella circostanza, decise di fermare il gioco per i cori razzisti nei confronti del popolo partenopeo. Di lì a poco l’AIA avrebbe optato per la dismissione dell’arbitro per motivi di ordine tecnico.

Nel consueto appuntamento domenicale con ‘Il calcio è servito’ il diretto protagonista Claudio Gavillucci è intervenuto telefonicamente con parole non banali e molto dirette verso il ‘sistema’ arbitrale ed il suo rapporto con la FIGC e con le rispettive leghe. Al timone della trasmissione Renzo Giannantonio, Francesco Di Giovambattista ed il Prof. Paolo Marcacci.

L’esclusione dalla Serie A comunicata con un sms

“Ho deciso di scrivere questo libro perché a 38 anni, dopo aver diretto oltre 600 partite nella mia carriera di cui 50 in Serie A, con un sms con tre lapidarie parole in un freddo comunicato stampa motivate da valutazioni tecniche, sono stato dismesso dalla’AIA. Quindi ho deciso di andare fino in fondo per scoprire se quelle valutazioni tecniche fossero veramente motivate e ho scoperto, attraverso una battaglia legale davanti alla giustizia sportiva che parzialmente ho anche vinto, una serie di cose che troverete nel libro che parte dalla sospensione della partita per cori discriminatori nei confronti dei napoletani. Per i valori che per me sono fondamentali nello sport, quali la discriminazione, la correttezza, la trasparenza, l’onestà e il rispetto ho sentito la necessità, per il bene di questo sport che amo ancora, di scrivere e di far conoscere a tutti quanti. Al termine della stagione 2018, in particolare a termine della penultima partita di campionato tra Sampdoria e Napoli in cui ebbi la visionatura del mio organo tecnico che non mi faceva pensare minimamente alla mia dismissione dalla Serie A, ho ricevuto questo messaggio da Nicola Rizzoli in cui mi si anticipava che appunto la mia avventura era terminata”.

I giudici siedono sullo stesso tavolo dei giudicanti

“Nei documenti che ho raccolto ne ho trovato uno in cui i vertici dell’AIA avevano giudicato in maniera positiva la prestazione del collega Orsato nella partita Inter-Juventus del 2018. Da lì sono andato a fondo e ho visto che il sistema – quindi non le persone perché voglio ribadire il concetto che tutti i miei colleghi sono persone integerrime  e sono professionisti a 360 gradi anche non essendo contrattualizzati come tali si trovano chiamati a decidere su partite che valgono milioni di euro non essendo compensati in maniera adeguata – non garantisce la giusta trasparenza, la giusta autonomia che un giudice a mio avviso deve avere. Perché il divario tra giudici e giudicati è troppo ampio. Raffaele Cantone, descrivendo dal punto di vista dell’anticorruzione il sistema AIA-Federazione, diceva che era alquanto anomalo che i giudici sedessero allo stesso tavolo dei giudicanti. Il Presidente del CONI Malagò portò avanti una proposta che riteneva non opportuno che gli arbitri sedessero in consiglio federale, con possibilità di voto, con le varie leghe che sono poi rappresentanti delle squadre che gli arbitri stessi vanno a giudicare. Gli arbitri hanno un contratto a Partita Iva misto a un Co.Co.Co annuale. Ogni primo di luglio la parte politica decide se rinnovare o meno questo contratto al giudice arbitro”.

Gli arbitri devono uscire allo scoperto rivendicando sacrosanti diritti

“Io, come tutti i miei colleghi, ho dovuto lasciare un lavoro per svolgere l’attività di arbitro. Quindi ogni minima contestazione poteva portare a quello che poi è accaduto, cioè che mi trovassi dalla mattina alla sera a non percepire più il mio stipendio. Le cose non cambieranno se i miei colleghi, che continuano a spingermi in questa battaglia, non avranno loro stessi la forza di uscire allo scoperto rivendicando un diritto sacrosanto del lavoratore. Avere una copertura minima per la professionalità che ogni arbitro mette in campo”.

L’AIA è un sistema chiuso verso l’esterno

“Il male più grande della mia associazione è l’autoreferenziale, la mancanza di confronto con l’esterno. Ho avuto tantissimi messaggi di congratulazioni per il coraggio che ho avuto a dire quello che abbiamo sempre pensato tutti, anche durante la mia battaglia legale. Il problema è quello che non dicono. Non possono dire quello che pensano. Ora sono in Inghilterra e faccio parte di questa Federazione. Mi diletto ad arbitrare nelle categorie semi-professionistiche inglesi, perché mi sono trasferito qui per motivi di lavoro. Questa quindi è una opportunità più per loro che per me”.

In Spagna il referto dell’arbitro è disponibile per tutti

“In alcuni paesi il referto è pubblico e disponibile per tutti. Faccio l’esempio della Spagna. Ho letto sui giornali dell’espulsione di Diego Costa per otto giornate confermata dal giudice sportivo, attraverso l’acquisizione degli audio Var. Le parole di Costa entro la mezzanotte del giorno della partita era già pubblicato online alla disponibilità di tutti. Perché non c’è niente da nascondere. Non esistono arbitri a libro paga o arbitri corrotti. E’ il sistema purtroppo che non garantisce trasparenza  e genera retro pensieri che non esistono. I miei colleghi sono persone che sputano il sangue per arrivare e per raggiungere i traguardi. In questo momento, grazie alla ricezione delle mie doglianze portate in tribunale, i miei colleghi ricevono il mercoledì il rapporto completo da parte dell’osservatore con tanto di voto. Ricevono le graduatorie ogni due mesi e conoscono in anticipo i numeri di coloro che retrocederanno o verranno promossi a inizio campionato. Questa è una vittoria ottenuta  per la categoria. Il Presidente Nicchi ha fatto molto bene in passato, discretamente nel presente, ma anche per una questione anagrafica non potrà mai essere il futuro dell’associazione. Quindi il solo pensiero di potersi ricandidare per il quarto mandato secondo me è una cosa che non sta né in cielo né in terra”.

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