L’artigianato calcistico che, proprio perché inteso nella sua accezione più nobile, un bel giorno ci trovammo a considerare che s’era trasformato in arte. Arte povera, se preferite, di quella dalle linee semplici e sagge, ma al tempo stesso così pregiate.

Non è un caso che abbia svezzato Totti (che poi fu forgiato da Zeman) e che così saggiamente abbia saputo lucidare, godendoselo in panchina e facendocelo godere, il diamante tecnico dell’ultimo Baggio; così come riuscì a essere degno interlocutore di un Pep Guardiola che già pensava da suo collega e che in lui trovò una guida umana; forse anche un “tutor” che gli insegnò tutto ciò che nei manuali mai avrebbe trovato.

Il compleanno di Carlo Mazzone non è soltanto l’occasione per un tributo al “veterano fra i veterani” degli allenatori del nostro paese; è soprattutto uno spartiacque storico incarnato da chi ha vissuto perlomeno tre ere della nostra Serie A: quella che si avviava a diventare moderna degli anni settanta; quella approdata a una sorta di iper-professionismo negli anni ottanta e quella del decennio ricchissimo e opulento, tanto economicamente quanto tecnicamente, che sarebbe finito con l’avvento del ventunesimo secolo, nel quale lui da allenatore riuscì comunque a mettere il piede, abbondantemente, fino alla panchina del Livorno nel 2006.

Fuor di retorica, perché ci manderebbe a quel paese, ma per via di metafora, nell’augurargli il migliore dei compleanni lo ringraziamo perché, calcisticamente parlando, ci ha insegnato lungo il corso di una carriera dalla durata geologica che molto spesso in una trattoria dove gli ingredienti sono genuini si può mangiare bene quanto in un ristorante stellato. Qualche volta, addirittura di più. Purché ci sia un maestro in cucina. 

Paolo Marcacci


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