Quasi tutto ha un prezzo; in un surplus di disincanto aggiungiamo pure che quasi tutti gli individui ce l’hanno. È proprio per questo che quel “quasi”, paradossalmente, assume un valore sacro, un peso specifico enorme.

Evitando di cadere nelle forme più banali e abusate di retorica, non diremo che ci sono cose che non si possono comprare, come nel celeberrimo spot della nota carta di credito: preferiamo affermare che non tutto può diventare moneta di scambio, persino nel mondo del calcio, quella sorta di tempio che i mercanti non li caccia mai, anzi il più delle volte gli consegna le chiavi.

Una di queste rare cose è la fascia di capitano di un club. A maggior ragione, di un club la cui tifoseria è stata abituata a una serie di capitani, da Totti in giù, straordinariamente longevi per durata e di conseguenza per appartenenza.

Ben venga Higuain; magari, almeno a parere di chi scrive, si potesse arrivare a fargli vestire la maglia giallorossa. Di certo, pur di portarlo a Roma, varrebbe la pena di fargli percepire la centralità all’interno del progetto tecnico.

Ma la fascia di capitano non tiratela in ballo, per piacere: chi ama la Roma non potrebbe mai percepirlo come tale, pur essendo contento del suo arrivo, nel caso arrivasse. E lui, dal suo punto di vista, non potrebbe mai del tutto comprendere la portata simbolica di quel pezzo di stoffa elasticizzata al braccio. Non sarebbe nemmeno una colpa. 

Colpevole sarebbe invece chi dovesse arrivare a pensare di posare quella fascia e ciò che rappresenta sul piatto di una bilancia. 

Paolo Marcacci


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