Ci sono date che fanno compiere un salto in avanti all’intero secolo che le contiene, perché ridisegnano la Storia, quella con la maiuscola, giudice supremo di eventi e destini. A questo proposito, il destino della Germania nazista, già avviata verso il declino, vede affiorare il suo definitivo compimento nel giorno in cui il più grandioso atto militare del ventesimo secolo prende corpo attraverso il suo atto più celebre: lo sbarco delle Forze Alleate sulle coste della Normandia. Operazione “Neptune”, in dettaglio, inquadrata nella più ampia gamma di offensive dell’operazione “Overlord”. 

Nessun libro di storia potrà mai rendere l’idea di quelle giornate così cruente, del sangue versato e profuso in nome della più decisa virata della storia nel 1900: il veleno nella coda dell’abominio hitleriano, l’ultima profusione di avveniristica tecnologia e volontà di potenza con i missili V2 ideati da Werner von Braun, che dovevano servire anche a dare in pasto al popolo tedesco, già allo stremo, l’ultimo boccone di propaganda rassicurante, mentre la morsa si stringeva a est e dal 6 giugno 1944 anche a ovest. 

Potremmo parlare di “globalizzazione” militare, se i lettori ci passano il temine: l’evento, mentre si consuma, comincia ad avere effetti su tutto il mondo. Sul mondo che verrà, anzi, il che rende ancora meglio l’idea della sua portata. 
Si erano già incontrati a Teheran, alla fine del 1943, Churchill, Stalin e Roosevelt; si rivedranno a Yalta nel 1945, ormai certi della vittoria, per disegnare gli equilibri di un mondo che ancora di là da venire, ma i cui equilibri erano già stati decisi, pattuiti: la spartizione dei fronti ideologici, le due anime dell’Europa dirimpettaie in un cortile tedesco, la logica di una contrapposizione che avrebbe tenuto in piedi un equilibrio fatto di minacce vicendevoli e proprio per questo così duraturo. È come se ogni sommozzatore che veniva fuori dall’acqua gelida delle coste francesi portasse nella muta un mattone del Muro che avrebbe diviso Berlino. 

Paolo Marcacci