Francesca Albanese, relatrice speciale dell’ONU per i Territori palestinesi occupati, è finita al centro di una violenta campagna mediatica. A denunciarlo è Giorgio Bianchi, fotoreporter e documentarista, secondo cui sarebbe in corso una vera e propria ‘macchina del fango’ per delegittimare la sua figura e mettere a tacere le sue denunce sui crimini commessi da Israele a Gaza.
“Punirne uno per educarne cento”
Albanese è l’unica figura istituzionale di alto livello ad aver parlato apertamente di ‘tentativo di genocidio’ in atto in Palestina, una posizione che le ha attirato contro attacchi trasversali da giornalisti, opinionisti e testate nazionali. Tra questi, Pierluigi Battista, che l’ha definita una ‘antisemita compulsiva’ e l’ha accusata di negare presunti stupri di massa commessi da Hamas il 7 ottobre (accusa che Bianchi liquida come fake news, smentita da fonti ufficiali e mai confermata da inchieste indipendenti).
Il fotoreporter evidenzia come si stia applicando una strategia di ‘punirne uno per educarne cento’, un deterrente mediatico per scoraggiare altri esperti, giornalisti o intellettuali dal prendere posizioni critiche su Israele. “Stiamo assistendo a una vera e propria character assassination, un linciaggio mediatico per neutralizzare il messaggio colpendo il messaggero”, afferma.
Voce scomoda
Anche testate come Il Riformista e La Stampa hanno rilanciato accuse su presunti conflitti d’interesse legati al marito di Albanese e a ipotetici finanziamenti provenienti da ambienti vicini ad Hamas. Un’ondata di insinuazioni senza prove concrete, che secondo Bianchi serve a delegittimare una voce scomoda nel panorama internazionale. “Mi chiedo dove sia l’Ordine dei Giornalisti in tutto questo, siamo arrivati a un punto in cui basta una parola fuori dal coro per essere crocifissi pubblicamente”.
Bianchi paragona l’attuale clima al silenzio registrato durante la pandemia, quando molti esperti evitarono di esprimere dissenso per paura di ripercussioni.
Nel frattempo, Albanese continua il suo lavoro, pur sotto attacco. Alcune personalità hanno avanzato la sua candidatura al Premio Nobel per la Pace, ma per Bianchi il punto è un altro: “Non si tratta di premi. Si tratta di difendere la libertà di parola e di denuncia in un sistema che cerca di azzittire chi non si allinea”.
Ascolta l’intervista di Stefano Molinari a Giorgio Bianchi.










