Si respira aria d’inquietudine nei corridoi del Parlamento europeo: la mozione di sfiducia contro Ursula von der Leyen, che verrà discussa e votata oggi, ha trasformato l’Eurocamera in un’arena dove le crepe della leadership europea sono emerse con una chiarezza che non ammette più retorica. Se la presidente della Commissione può ancora contare su una maggioranza numerica, la vera notizia è la profondità della sfiducia politica e personale che la circonda, anche tra chi oggi deciderà di non affondare il colpo definitivo.

Dietro la facciata di una mozione che, numeri alla mano, non aveva reali possibilità di passare, si sta consumando una resa dei conti che va ben oltre le schermaglie di partito. Von der Leyen, a un anno dalla sua rielezione, si trova a fronteggiare non solo l’opposizione delle destre e degli euroscettici, ma anche il malcontento crescente dei socialisti, dei liberali e dei verdi. Questi ultimi sceglieranno probabilmente di non sostenere la sfiducia, ma hanno colto l’occasione per denunciare una gestione centralizzata, opaca e sempre più distante dalle esigenze reali dei cittadini europei.

Un malessere profondo

Il caso “Pfizergate”, lo scandalo dei contratti opachi con le multinazionali farmaceutiche, è stato solo il detonatore di un malessere più profondo. Le critiche più dure si sono concentrate sulle recenti scelte politiche: la marcia indietro sul Green Deal, le alleanze di comodo con le destre, la riforma della Politica agricola comune e la gestione dei fondi europei hanno alimentato una diffusa sensazione di immobilismo e autoreferenzialità. La Commissione guidata da von der Leyen appare sempre più sclerotizzata, incapace di offrire una visione condivisa e di rispondere con trasparenza alle richieste di accountability che arrivano sia dai parlamentari sia dalla società civile.

I socialisti si accontentano

Nel tentativo di arginare la fronda socialista, la presidente ha promesso rassicurazioni sul Fondo sociale europeo, ma la mossa non è bastata a ricompattare il fronte progressista. Il voto di oggi, pur sancendo la sopravvivenza formale della Commissione, può segnare una perdita di legittimità politica difficilmente recuperabile: la maggioranza ha sostenuto von der Leyen un anno fa si può assottigliare significativamente, e il clima di sfiducia rischia di rendere la seconda parte del suo mandato un cammino accidentato, fatto di continue mediazioni e di promesse da mantenere.
La vera vittoria, se così si può chiamare, non è di Ursula von der Leyen, ma di quel sistema di potere che sopravvive più per inerzia che per convinzione. Le divisioni interne ai gruppi, la riluttanza a schierarsi apertamente e la paura di consegnare l’Unione europea nelle mani delle destre hanno prodotto una paralisi che rischia di minare la credibilità stessa delle istituzioni europee. Oggi, più che mai, il voto di sfiducia può mostrare che la stabilità della Commissione si regge su un equilibrio precario, destinato a essere messo alla prova da ogni nuova crisi.

A ‘Un Giorno Speciale’ Fabio Duranti ne ha parlato con Alberto Contri, docente di comunicazione sociale, e Giovanni Frajese, endocrinologo e docente all’Università degli Studi del Foro Italico.