“Mangerete insetti e sarete felici”: così vogliono rendervi automi ammaestrati | Con Diego Fusaro

Nel dibattito contemporaneo sulla trasformazione delle abitudini alimentari, l’introduzione degli insetti come alternativa proteica appare a molti come un semplice passaggio tecnologico o ambientale. Ma la questione, osserva Diego Fusaro ai microfoni di Un Giorno Speciale, si muove su un piano molto più profondo: quello del rapporto tra comunità e radici culturali. È qui che la tavola diventa terreno simbolico, luogo in cui si difende ciò che resta di una memoria condivisa.

Il sapore come linguaggio della civiltà

Per Fusaro, il cibo è sempre stato un codice antropologico prima ancora che nutrizionale. Riprende la formula di Lévi-Strauss secondo cui “è buono da mangiare ciò che è buono da pensare” per mostrare come ogni gusto custodisca un immaginario. In questo quadro, gli insetti non sono percepiti come semplici ingredienti alternativi: “Non solo non sono buoni da pensare, ma danno cattivi pensieri”, afferma, richiamando i significati simbolici dei vermi, delle cavallette e delle mosche, associati rispettivamente alla putredine, alla punizione divina e alla sporcizia. Non è questione di palato: è questione di immaginario collettivo.

Lo sradicamento come metodo

La domanda di fondo diventa allora cui prodest?. Perché proporre come normale ciò che in una tradizione millenaria è sempre stato respinto? Fusaro riconduce la risposta al processo di sradicamento che definisce come forma di cancel culture, una dinamica che mira a indebolire le comunità dissolvendo i legami con territorio, storia e appartenenza. “Se ci tolgono il contatto con le nostre radici”, avverte, “possono facilmente batterci”. Non si tratta di nostalgia ma di struttura: senza un insieme di riferimenti condivisi, la società diventa più permeabile a qualsiasi modello esterno.

Dall’identità all’individuo senza qualità

Il rischio, prosegue Fusaro, è la trasformazione dell’uomo in figura intercambiabile, svuotata di contenuti propri. È il paradigma dell’individuo senza qualità, evocato attraverso Musil: un soggetto che, perso ogni ancoraggio culturale, può essere riempito “di tutti i contenuti che il mercato vorrà imporgli”. In questo scenario, anche la cucina perde la sua funzione identitaria e diventa semplice piattaforma di consumo, modellata sulle esigenze del capitalismo globale.

Il mito di Anteo come avvertimento contemporaneo

Per spiegare l’importanza vitale del radicamento, Fusaro richiama il mito di Anteo, il gigante che traeva la propria forza dal contatto con la terra. La sua sconfitta avviene quando Ercole lo solleva, privandolo della fonte di energia. “Il fabula docet è chiarissimo”, sostiene: privare un popolo del legame con la propria origine significa renderlo vulnerabile. In questa prospettiva, la sostituzione simbolica del cibo tradizionale con elementi estranei non è un fatto neutrale, ma un passo nell’omologazione globale. “È molto pericoloso, è una cosa che va evitata”, conclude.