“Ecco quanto manca alla guerra con Putin e perché l’UE può suicidarsi in un attimo”

La guerra in Ucraina continua a produrre stallo diplomatico, riarmo accelerato e una crescente esposizione al rischio nucleare. Al centro restano interrogativi irrisolti: chi ha interesse a rallentare i processi di pace, quanto è reale la minaccia di un conflitto allargato e fino a che punto la deterrenza può essere considerata uno strumento di stabilità. Questioni che chiamano in causa equilibri continentali, strategie globali e una gestione politica sempre più fondata sulla paura. Ai microfoni di Astrea l’analisi degli esperti.

Il sabotaggio dei negoziati e la guerra degli umori

Secondo il generale Fabio Mini (Generale, saggista, già Capo di Stato Maggiore del Comando NATO Sud Europa), la difficoltà ad avviare veri colloqui di pace non è casuale. A suo avviso, “tutta questa volontà di fermare i colloqui e di mettere i bastoni fra le ruote alle iniziative di pace è una campagna contro il presidente Trump”, letta come reazione europea a un’America percepita come ostacolo alla propria strategia. Mini parla di una crisi di realismo politico, guidata più da “umori tra persone che non hanno più il senso della realtà” che da una valutazione razionale degli interessi in gioco.

Il rischio nucleare e l’illusione del danno localizzato

Il professor Francesco Forti, Professore di Fisica all’Università di Pisa, Segretario nazionale dell’Unione Scienziati per il Disarmo, ricercatore INFN, richiama l’attenzione sugli effetti reali di un’escalation nucleare, smontando l’idea che l’impatto sarebbe circoscritto. “Il fallout radioattivo non è limitato al punto dove viene lanciata l’arma, ma si estende su un territorio amplissimo”, spiega, illustrando una simulazione su Roma: centinaia di migliaia di morti immediati e una contaminazione che, con venti moderati, “si estende per mezza Italia”. Il dato centrale è la non contenibilità delle conseguenze.

Spazio, missili e trattati a rischio

Piero Benvenuti, Direttore del Centro dell’Unione Astronomica Internazionale per la Protezione del Cielo, sposta il focus sulla militarizzazione dello spazio, chiarendo la natura del missile russo Burevestnik: “non è di per sé un ordigno nucleare, ma può essere caricato con testate nucleari”. Il punto critico riguarda però il rispetto delle regole. Il Trattato sullo spazio extraterrestre del 1967 vieta la collocazione in orbita di armi di distruzione di massa, ma “se le grandi potenze se ne fanno beffe, il trattato può diventare carta straccia”, aprendo a un rischio sistemico per il futuro della sicurezza globale.

La minaccia russa, il Donbass e la vittoria a tavolino

Marco de Andreis, Membro dell’Unione Scienziati per il Disarmo, ridimensiona l’ipotesi di un attacco russo all’Europa: “la Russia non ha le capacità militari per anche lontanamente pensare di attaccare tutta l’Europa”, richiamando la superiorità convenzionale europea in mezzi, risorse e qualità tecnologica. Mini, però, introduce il nodo politico del Donbass, spiegando che una cessione territoriale in sede negoziale rappresenterebbe per Mosca “una vittoria a tavolino”, giuridicamente definitiva. Un esito che, secondo l’ex generale, spiega le resistenze ucraine ed europee e si intreccia con un’altra variabile decisiva: “chi è più debole sul piano convenzionale, se attaccato, utilizza l’altro sistema, quello nucleare”. È qui che il conflitto locale si trasforma in rischio globale.