La fragile tregua tra Thailandia e Cambogia è definitivamente crollata. Da oltre un secolo la Thailandia e la Cambogia sono protagoniste di una disputa persistente per il controllo della sovranità territoriale lungo l’esteso confine terrestre che li separa, un tratto di circa 800 chilometri, segnato da rivendicazioni storiche, tensioni politiche e ricorrenti controversie diplomatiche. Nei territori di frontiera sono riesplosi duri combattimenti che, in pochi giorni, hanno provocato vittime civili e militari e spinto alla fuga decine di migliaia di persone.
L’episodio più grave è avvenuto nella provincia cambogiana di Banteay Meanchey, dove due persone sono state colpite a morte dopo la mezzanotte lungo la strada nazionale 56. Secondo Phnom Penh, i colpi sarebbero stati sparati dalle forze thailandesi. Con queste nuove morti il bilancio delle vittime civili cambogiane sale a sette.
Responsabilità in bilico
Il ministro cambogiano ha denunciato i bombardamenti sui social, mentre l’ex primo ministro Hun Sen ha ricordato che le forze cambogiane avrebbero ‘atteso oltre 24 ore’ nel tentativo di rispettare la tregua e permettere ai residenti di mettersi al riparo, prima di rispondere agli attacchi. ‘Non possiamo fare altro che reagire nei punti in cui siamo stati colpiti’, ha dichiarato.
Bangkok rigetta ogni responsabilità e afferma che sia stata la Cambogia a riaccendere il conflitto, facendo saltare l’intesa siglata a luglio con la mediazione del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Washington aveva favorito un accordo di cessate il fuoco che, sebbene fragile, aveva temporaneamente ridotto le tensioni. L’attuale escalation viene dunque interpretata come una violazione diretta di quell’impegno, che Trump aveva definito un ‘passo essenziale per la stabilità regionale’. Secondo fonti diplomatiche statunitensi, il Presidente avrebbe espresso ‘profonda preoccupazione’ per la rottura della tregua, sottolineando come entrambe le parti avessero garantito di evitare un ritorno alle ostilità.
Bilanci
Intanto l’esercito thailandese conferma che i propri caduti sono ora tre: uno l’8 dicembre e altri due nelle ore successive. Le autorità militari riferiscono inoltre che circa 440.000 persone hanno dovuto lasciare le zone di confine in cinque province, mentre Phnom Penh parla di oltre 20.000 sfollati sul lato cambogiano.
Gli scontri, ripresi domenica, si sono estesi rapidamente lungo diversi punti degli oltre 800 chilometri di frontiera che i due Paesi contestano da più di un secolo. Entrambe le parti accusano l’altra di aver deliberatamente colpito aree civili, alimentando un clima di sospetti che rende difficile qualsiasi dialogo. Le immagini diffuse dal Ministero dell’Istruzione cambogiano mostrano studenti in fuga dalle scuole, mentre in Thailandia centinaia di istituti hanno sospeso le lezioni e alcuni ospedali di frontiera hanno interrotto i servizi.
Nel frattempo, nella provincia thailandese di Buriram, numerosi residenti dei distretti di Ban Kruat e Lahan Sai sono stati trasferiti nel centro di evacuazione allestito presso il Circuito Internazionale di Chang.
La comunità internazionale segue con crescente allarme. Il segretario generale dell’ONU, António Guterres, ha ribadito la necessità di evitare ulteriori escalation e di tornare al dialogo: “Invito entrambe le parti a rinnovare l’impegno per il cessate il fuoco e a utilizzare ogni canale diplomatico per una soluzione duratura”. Amnesty International denuncia che la ripresa dei combattimenti sta mettendo in grave pericolo i civili, causando nuovi sfollamenti e danneggiando infrastrutture vitali.
Nonostante gli appelli, i combattimenti proseguono. E mentre Thailandia e Cambogia continuano a rinfacciarsi la responsabilità dell’ennesima rottura degli accordi, la popolazione civile resta la prima vittima di un conflitto che sembra allontanarsi sempre più da una via d’uscita.










