Il caso Almasri rappresenta solo l’ultimo capitolo della crescente tensione tra potere politico e magistratura in Italia. Nel gennaio 2025, Osama Almasri, generale libico ricercato dalla Corte penale internazionale, venne fermato in Italia ma poi rilasciato dalla Corte d’Appello per un errore procedurale, senza che il ministro della Giustizia Nordio ricevesse preventivamente gli atti. L’episodio ha scatenato un’inchiesta che ha portato alla richiesta di autorizzazione a procedere per favoreggiamento e altri reati nei confronti di esponenti del governo, tra cui la presidente Giorgia Meloni, il ministro Nordio e altri membri dell’esecutivo, accusati di aver favorito la fuga di Almasri tramite un volo di Stato per il suo rimpatrio. Il governo ha difeso la propria posizione invocando lo “stato di necessità” a tutela degli interessi nazionali, ma la vicenda ha acceso un duro scontro politico-giudiziario, aggravando lo scontro tra magistratura e potere politico.
Questa controversia rappresenta un esempio emblematico di come il potere giudiziario in Italia stia spesso imponendosi sulle decisioni politiche, segnando un progressivo indebolimento dell’azione del governo. La magistratura, con un ruolo tradizionalmente indipendente, sembra aver assunto una crescente centralità che finisce per condizionare il quadro politico e governativo, anche attraverso indagini che coinvolgono figure di vertice dell’esecutivo. Recenti riforme, come quella costituzionale di luglio 2025 che ha separato le carriere di giudici e pubblici ministeri, hanno cercato di rispondere a queste tensioni ma senza risolvere alla radice il problema dell’equilibrio tra poteri.
Il governo, spesso contestato da interventi giudiziari percepiti come ingerenze o tentativi di bloccare l’azione politica, si trova in una posizione di difficoltà e minoranza rispetto a un potere giudiziario che esercita un’influenza significativa sulla politica e sulla governance nazionale. Tali dinamiche rischiano di compromettere la funzione del potere politico, riducendo la sua efficacia e aumentando la sfiducia dei cittadini nelle istituzioni rappresentative. Da questo punto di vista, si rafforzano le istanze euroscettiche e nazionaliste, che vedono nel rafforzamento del ruolo giudiziario un ostacolo alla sovranità popolare e un rischio per la governabilità del paese.
Al contempo, la tensione fra potere politico e magistratura riflette anche problemi concreti del sistema italiano, come la lentezza dei processi, inefficienze e difficoltà nel contrasto alla corruzione, che minano la fiducia generale nella giustizia e nella politica. Le riforme in corso, quindi, devono essere attentamente valutate per non trasformarsi in strumenti che, sotto la pressione di una magistratura sempre più assertiva, finiscono per svuotare le prerogative democratiche del potere politico.
In definitiva, l’Italia si trova in una fase di delicato squilibrio istituzionale, in cui il potere giudiziario in molte occasioni sembra prevalere su quello politico, con effetti significativi sulla governabilità e sul consenso democratico. Un dibattito serio e approfondito è necessario per ridefinire un nuovo equilibrio che tuteli tanto l’autonomia della magistratura quanto la legittima capacità decisionale del potere politico, nel pieno rispetto della Costituzione e dell’interesse nazionale.
A ‘Un Giorno Speciale’ la visione del costituzionalista Carlo Iannello.










