Napul’eh?!

Potremmo non rivolgere lo sguardo al terreno di gioco per quasi cento minuti e “vedere” lo stesso la partita, attraverso il linguaggio del corpo di Antonio Conte, che con la sta gestualità ampia sta tentando di plasmare il quarto Tricolore partenopeo, come un artigiano di San Gregorio Armeno dall’accento salentino. Più trucioli del previsto da smaltire, dopo stasera, il punticino di vantaggio è piccerillo assai, visto da sopra. L’è gròs visto da sotto, con lenti sfumate in nerazzurro.

Il Genoa ha qualità e soprattutto identità, due parole che fanno rima con Vieira: ottimo il lavoro del tecnico rossoblu, un tempo sontuoso centrocampista che oggi insegna alle sue squadre a pensare ad alta intensità, come faceva lui quando aveva tra i piedi il timone della Nazionale francese.
Se un poco arrendevoli appaiono i liguri quando lasciano troppo sgombra la dorsale McTominay – Lukaku in occasione del vantaggio azzurro, poi si riprendono metri e tempi di gioco, pareggiando il conto con la collaborazione fortuita di Meret.

Inquietudine al “Maradona”, l’incitamento festoso vira in un continuo sostegno con venature di perplessità.

Il 2 – 1 arriva, perché sembrava impossibile che non arrivasse, ma si dice sempre dopo: ancora McTominay, che firma gli assist tra una percussione e l’altra, al servizio di Jack Raspadori che dal lato sinistro dell’area accende di destro la miccia della conclusione armando il mancino per far esplodere il petardo del nuovo vantaggio.

Finita qua? Chi non lo penserebbe? Ma il Genoa nemmeno negli ultimi minuti vuol fare la figura dell’imbucato che si intrufola alle feste per scroccare un po’ di aperitivi: Martin crossa da sinistra e Vasquez decolla tra le distratte torri partenopee. 2 – 2.

Questo campionato non finisce mai.

Paolo Marcacci