Un silenzio pesante, rotto solo dal ronzio dei motori di Air Force Two, ha preceduto le dichiarazioni che ora infiammano la politica americana: “Sembra una cosa grave, spero si riprenda. Ma non era in grado di fare il presidente”. Così il vicepresidente degli Stati Uniti, JD Vance, ha commentato la recente diagnosi di tumore alla prostata dell’ex presidente Joe Biden, sollevando interrogativi non solo sulla salute dell’anziano leader democratico, ma anche sulla trasparenza della sua amministrazione.
“Occorre davvero essere onesti sul fatto che l’ex Presidente fosse in grado di svolgere il suo lavoro,” ha dichiarato Vance in conferenza stampa, sottolineando che i suoi dubbi non nascono da divergenze politiche, ma dalla convinzione che Biden non fosse “in condizioni di salute sufficientemente buone” per guidare il paese.
“Questa è una questione seria”
“E questo è l’uomo che porta in giro il pallone nucleare per il più grande arsenale nucleare del mondo: non è un gioco da ragazzi. E possiamo pregare per la buona salute, ma anche riconoscere che se non si è in condizioni di salute sufficientemente buone per svolgere il proprio compito, allora non si dovrebbe farlo“.
Il sospetto: “Colpa di chi lo circondava”
Vance ha poi spostato il mirino su chi, secondo lui, avrebbe dovuto vigilare e informare meglio l’opinione pubblica sulle condizioni di Biden: “In qualche modo, lo ritengo meno responsabile di chi lo circondava. Perché il popolo americano non aveva un quadro più chiaro della sua salute? Perché non hanno ricevuto informazioni più accurate su ciò che stava affrontando?”.
Secondo il vicepresidente, la responsabilità maggiore ricadrebbe proprio su staff e collaboratori che avrebbero “tenuto nascosto” lo stato reale di salute di Biden, limitando le sue apparizioni pubbliche e filtrando le informazioni. Un’accusa che riapre il dibattito sulla trasparenza delle amministrazioni e sulla necessità di informare tempestivamente i cittadini, soprattutto quando si tratta della salute di chi detiene il potere nucleare.