Immaginate una valanga che scende a valle: ogni fiocco di neve che si aggiunge ne aumenta la forza, la massa, la velocità. Così funziona il debito pubblico italiano: una massa che cresce, alimentata dagli interessi che si sommano agli interessi, e che l’appartenenza all’Unione europea rende ancora più difficile da fermare.

Il debito pubblico, cioè l’insieme dei prestiti contratti dallo Stato nei confronti di soggetti nazionali e internazionali, è un fenomeno che tende a perpetuarsi e ingigantirsi per motivi strutturali. Quando il debito è elevato, lo Stato deve pagare ogni anno una cifra considerevole solo per gli interessi. Se il tasso di interesse sul debito è superiore al tasso di crescita dell’economia, il rapporto debito/PIL cresce automaticamente, anche in assenza di nuovo deficit: è il cosiddetto effetto snowball o “valanga”.
In formula, la variazione del debito in rapporto al PIL dipende dalla differenza tra il tasso di interesse e il tasso di crescita nominale dell’economia. Se lo Stato non riesce a generare un avanzo primario (cioè entrate superiori alle spese al netto degli interessi), il debito aumenta inesorabilmente.
Interessi su interessi
A peggiorare la situazione interviene la logica dell’interesse composto: ogni anno, lo Stato non paga solo gli interessi sul debito originario, ma anche sugli interessi non ancora rimborsati negli anni precedenti. Questo meccanismo spinge il debito a crescere in modo esponenziale, proprio come la famosa leggenda dei chicchi di riso sulla scacchiera: ogni casella raddoppia la quantità della precedente, fino a raggiungere numeri insostenibili. Nel caso del debito pubblico, la base su cui si calcolano gli interessi si amplia costantemente, rendendo sempre più difficile invertire la rotta.
L’Unione europea: una gabbia dorata
Essere parte dell’Unione europea, e ancora di più dell’Eurozona, rende la gestione del debito pubblico ancora più complessa e stringente. I trattati europei, in particolare il Patto di Stabilità e Crescita, impongono limiti severi a deficit e debito, costringendo i Paesi membri a politiche di bilancio restrittive per rientrare nei parametri. Questo significa meno margini di manovra per stimolare la crescita attraverso la spesa pubblica, proprio quando sarebbe più necessario per ridurre il rapporto debito/PIL.
Inoltre, la cosiddetta “clausola no-bail-out” vieta all’Unione e agli altri Stati membri di farsi carico del debito di un Paese in difficoltà: ogni Stato resta responsabile del proprio debito, senza garanzie di solidarietà strutturale. Gli strumenti di aiuto esistenti, come il MES, sono vincolati a condizioni stringenti che spesso impongono tagli alla spesa e riforme dolorose, come visto nel caso della Grecia.
L’Italia, con un rapporto debito/PIL tra i più alti d’Europa (137,7% nel primo trimestre 2024), è tra i Paesi più esposti a questa dinamica. Ogni anno, una quota rilevante delle risorse pubbliche viene assorbita dagli interessi, sottraendo fondi a investimenti e servizi. Più il debito cresce, più aumentano gli interessi da pagare, innescando un circolo vizioso che rischia di autoalimentarsi.
Conclusione: la sfida della sostenibilità
La combinazione tra vincoli europei, interesse composto e crescita economica debole rende il debito pubblico una valanga difficile da arrestare. Senza una crescita robusta o un cambio di paradigma nelle regole europee, la sostenibilità del debito resta un miraggio. L’Italia, come altri Paesi ad alto debito, si trova così a dover pagare ogni anno interessi su interessi, in una corsa contro il tempo che sembra non avere fine.