Grandezza ed equilibrio disseminati di zolla in zolla, con Courtois ed Ederson che da una porta all’altra incrociano gli sguardi attraversando una scacchiera di opposti fuoriclasse.
È un confronto fatto di geometrie diversamente filosofiche: più ampio il giro palla del City, che esercita una pazienza infinita nel tentativo di portare i ritmi verso la soglia del proprio gradimento, più verticale e disposto alle accelerazioni a campo aperto il Real Madrid, per conto del quale Vinicius e Mbappé viaggiano su corsie esterne che convergono bruscamente verso il cuore dell’area negli ultimi venti metri.
Potrebbe finire in ogni modo, pensiamo al momento in cui Turpin fischia l’inizio della contesa. Pensiamo anche alla fine che sarebbe potuta terminare con più di un risultato, però ci accompagna anche la sensazione che il Manchester City se la sarebbe meritata, a ridosso dell’ora di gioco, perché in questa gara d’andata, sotto gli occhi di un pubblico entusiasta e con entusiasmo ripagato dai suoi giocatori, Haaland e compagni è come se in quel momento avessero avuto più fame, oltre che maggiore lucidità nell’ultima mezz’ora, quando hanno ricacciato progressivamente nella tana un Real sornione ma alla fine troppo attendista.
C’era il rigore? Sì per l ‘impatto, a prima vista, un po’ meno per come Phil Foden cerca l’impatto. Di certo, Haaland va sul dischetto con la perizia di un chirurgo, per come traccia la traiettoria con il bisturi.
Mentre siamo quasi alle considerazioni finali, le Merengues stravolgono anche i proverbi, ricordando a uno stadio intero e già in festa che è meglio nascere fortunati “e” ricchi, visto il regalo di Ederson in fase di rinvio, con Brahim Diaz che scarta il pacco.
Rocambolesca e un po’ sporca, segnata dalle rughe di espressione di qualche errore individuale, pensi che sia finita lì, la magnifica partita, ma è una sentenza che non puoi permetterti, quando Vinicius trova spazio e Bellingham va a fare il puntero.
Re Carlo tornava dalla guerra, vinta una volta ancora.
Paolo Marcacci