Ogni giorno siamo esposti a una quantità di immagini orrende provenienti da scenari di guerra. Il susseguirsi di conflitti sempre più vicini al nostro Paese, dall’Ucraina alla Striscia di Gaza, portano quotidianamente nelle nostre tv, nei nostri smartphone, immagini che descrivono dolore e morte. Esiste un rischio a cui può portare questa sovraesposizione, un pericolo che può renderci ancor più propensi alla violenza: “C’è dal punto di vista dell’opinione scientifica, della ricerca scientifica, una soluzione migliore per evitare che le persone battaglino di meno? Perché poi questo è l’argomento. Noi dobbiamo cercare di creare un mondo dove si litiga di meno, dove si fanno meno guerre e dove le persone, in qualche modo, si comprendono di più e cercano di complementarsi e crescere sinergicamente”. La considerazione di Fabio Duranti trova la risposta a livello psicologico di Alessandro Meluzzi:
“La questione è stata affrontata dagli psicologi in particolare, dagli psichiatri della scuola comportamentista di Skinner, di Bandura, Walter, Pablo… Di tutti quelli che hanno sempre tracciato l’idea che tutto quello che avviene nella mente sia il risultato di un apprendimento. E quindi in fondo come aveva detto già San Tommaso d’Aquino, in qualche modo ripreso da Watson, non c’è niente nell’intelletto, non c’è niente nella mente che prima non sia stato nei sensi. Buona parte di ciò che accade nella nostra mente è il risultato di un apprendimento. In questo apprendimento esiste un processo che si chiama desensibilizzazione sistematica, per cui una cosa che all’inizio ci pare orripilante, se noi produciamo una situazione in cui la nostra mente e i nostri sensi vengono esposti e riesposti a questa stessa stimolazione, alla fine la reazione di paura, di panico, la reazione neurovegetativa, il batticuore, la sudorazione, misurabile si attenuano.
Ed è una tecnica che può essere usata per imparare e per far insegnare alle persone a non aver paura dell’aereo, o non aver paura dei cani, o non avere paura dei ragni, facendoli progressivamente esporre degli stimoli ansiogeni fino a che la reazione non si attenua. Ma cosa succede quando questa desensibilizzazione sistematica riguarda delle condotte e dei comportamenti che hanno un contenuto etico, un contenuto morale, quando ci espongono a sensibilizzarci a qualcosa rispetto alla quale sarebbe meglio che rimanessimo vulnerabili e sensibili? Accadono delle cose che anche qui sono state studiate sperimentalmente, per esempio tutti gli esperimenti di Milgram sulla violenza ci dicono che anche non dei criminali della scuola di Mengele in un campo di concentramento, ma dei banali studenti o neoloreati in psicologia possono esporre dei loro colleghi, in questo caso non dicendogli verità, perché per fortuna queste scariche elettriche erano false, a delle progressive scariche elettriche che avrebbero anche potuto portare a morte l’oggetto dell’esperimento, qualora questo avvenisse per passaggi successivi e sotto la guida di un istruttore che dice no, bisogna farlo perché se non lo fai esci dalla sperimentazione, esci dall’università, esci dalla carriera”.