Dopo che Neymar l’ha mollato piangendo, Leo Messi questo Mondiale se lo potrebbe prendere in esclusiva; siccome il Brasile ha visto evaporare le proprie lacrime sulla sabbia, l’Argentina resta l’unica a rappresentare il continente americano. Gli uomini di Scaloni sembrano rispettarsi a distanza con gli olandesi, in una sorta di passivo equilibrio poco belligerante: una specie di calcistica guerra fredda che conta precedenti memorabili e in cui le rispettive consegne tattiche portano al vicendevole annullamento.

Cosa poteva scompaginare un simile, noiosetto equilibrio? La risposta ai dubbi dell’umanità è spesso nell’arte: l’assist di Messi per Molina è scultura che dal blocco di marmo della linea difensiva olandese ricava le pieghe della tunica di Apollo; quindi è anche poesia, declinata in musica dal canto della torcida. Riesce l’Olanda a fare di più? No, in realtà è l’Albiceleste che comincia ad avvolgere di più l’avversario nelle spire della sua spinta sulle fasce: Molina a destra, Acuna dall’altra parte, con tanto di rigorino guadagnato e da Leo soffiato al “sette” con perentoria saggezza, per la decima firma con cui raggiunge Batistuta, staccando Maradona di due reti.

Quando l’Olanda la riapre, con la prima vera palla gol che premia Weghorst, gli arancioni ci credono più per ritrovata adrenalina che per lucidità, infatti agli argentini conviene creare il caos, accenno di rissa compreso. Tanti i minuti di recupero, ma apparentemente pochi per la produzione offensiva degli uomini di Van Gaal, che affollano semplicemente l’area senza però mai prendere il tempo a Otamendi e compagni. Eppure, il santone olandese sa essere luciferino quando indica la soluzione all’ultimo granello di clessidra in caduta: il calcio sa essere anche imprevista punizione, in tutti i sensi.

Nei minuti che precedono i supplementari, un interrogativo campeggia da una parte all’altra dell’oceano: quale delle due sarà più in grado di non perdere la testa, visto che si litiga e ci si minaccia a vicenda? In realtà l’Argentina rischia di chiudere in dieci il tempo addizionale, che finisce con lo “stock!” del palo colpito da Enzo Fernandez. I guanti di Martinez e il rigore di Lautaro mettono al sicuro la semifinale; si capisce dal rigore che Messi spinge come un giocatore di boccette. Contro una Croazia dal centrocampo che pensa e distilla calcio anche quando apparentemente si trova a subire, l’Argentina non potrà permettersi le pause che ha evidenziato nelle partite precedenti.