Leggenda della Lazio e della Nazionale italiana, poi il buio e le illazioni che lo hanno messo nell’ombra. Una vicenda, quella delle scommesse, che avrebbe potuto piegare la volontà di chiunque. Non di Beppe Signori, che dieci anni dopo la vicenda che lo aveva visto ingiustamente coinvolto è tornato a parlare di calcio e di vita. Dopo l’ospitata alla trasmissione Rai sui Mondiali di calcio, in cui ha ripercorso i fasti della sua carriera e ha dispensato alcune curiosità, il bomber è intervenuto a Radio Radio Lo Sport, dove ha avuto grande spazio la sua lotta per la verità e la giustizia nella vicenda che lo aveva suo malgrado investito.

Tra le poche persone che mi sono state accanto, anche in pubblico, c’è stato Angelo Gregucci, cui va il mio saluto e il mio ringraziamento. Se ne esce con grande forza: ho sempre saputo di essere innocente, e insieme alla mia avvocato Fabrizia Brandi ho portato avanti la mia battaglia da solo contro le procure e ho affrontato tutti i processi. Quando uno ha in mano la verità, l’unica cosa che può e deve fare è non arrendersi. Non volevo finire nel grigiore di una prescrizione o di un patteggiamento: volevo o il bianco o il nero, come quando giocavo. Volevo l’assoluzione, la dovevo ai miei figli e a mia moglie, che mi sono stati vicini in questi 10 anni difficili”.

La sentenza è arrivata nel 2021, ci sono voluti 11 anni. “Io il 1 giugno 2011 ho avuto la sfortuna di chiamarmi Beppe Signori e di avere i titoloni sui giornali. Oggi, invece, essere Beppe Signori è una fortuna, perché posso raccontare quello che mi è successo anche per quelle persone che, diversamente da me, non hanno avuto quello spazio”.

Nella carriera di Signori, anche un Mondiale, in cui l’Italia si arrese al Brasile solo in finale, ai calci di rigore. Il bomber, pur essendo in grande forma e segnando valanghe di gol, non era tra i titolarissimi e il rapporto con il Commissario tecnico, Arrigo Sacchi, non è mai decollato. Anzi, tra i due si arrivò allo scontro poco prima dell’ultimo atto. Una circostanza di cui Signori, con la saggezza dell’età, si è pentito: “Di giocare la finale di un Mondiale capita una volta sola. Io sarei partito anche titolare, me la sono giocata male. Forse con l’esperienza di oggi giocherei anche al posto di Gianluca Pagliuca, in porta, ma in quel periodo ero capocannoniere e arrivavo al mondiale con un altro tipo di mentalità”.

Non solo Sacchi. Sono molti i tecnici leggendari sotto cui Signori ha potuto esprimere (o non esprimere) tutte le sue qualità. Due di questi sono Zdenek Zeman e Sven Goran Ericsson, che lo hanno allenato ai tempi della Lazio. “Dico sempre di aver avuto moltissimi allenatori e un solo Maestro. Zeman mi ha trasformato da anonimo trequartista ad attaccante vero. Mi ha insegnato i tempi di gioco, gli inserimenti, i tagli: è stato fondamentale. Mi chiamò ai tempi del Foggia e mi disse “Ciao Bomber”, e gli ribattei che ne avevo fatti appena 5 a Piacenza. Lui aveva visto qualcosa che io non notavo. Riguardo a Ericsson, l’episodio di Vienna, in cui mi fece scaldare un tempo senza farmi entrare, fu la goccia che fece traboccare il vaso. Mai avuto con lui grande feeling a livello umano. L’allenatore viene pagato per fare scelte tecniche, ma quando manchi di rispetto dal punto di vista umano non va bene. Sarei rimasto a vita alla Lazio, ma poi si devono fare delle scelte. Aver letto che aveva chiesto la mia cessione è stata una coltellata, non me l’aveva detto”.