Uno dei fenomeni più fastidiosi, portatoci dalla digitalizzazione della nostra società, è senza dubbio quello del clickbaiting. Oltre a essere una pratica che svilisce l’importanza e il prestigio del ruolo dell’informazione, innesca delle conseguenze che vanno a impoverire la nostra società. Per clickbait intendiamo qualsiasi contenuto web la cui principale funzione è generare rendite pubblicitarie online. Questo tipo di contenuti si avvale di titoli accattivanti e sensazionalisti che incitano l’utente a cliccare.

Uno dei principali competitor che fa uso di questa tecnica è senza dubbio Google. Quante volte vi sarà capitato di leggere titoli simili: “Addio Caterina Balivo, purtroppo è successo tutto così: non sembra esserci nulla da fare“. Ecco questo è un chiaro esempio di contenuto clickbait. Uno dei format più comuni è annunciare la morte di un personaggio famoso, in questo caso la Balivo, senza però argomentare. L’utente è spinto a voler sapere di più e quindi clicca sul contenuto, ma poi quando va a leggere il resto del testo, scopre che il personaggio in questione non è affatto morto ma ad esempio ha solo cambiato casa.

Ma non è solo una questione di denaro, avverte Meluzzi: “C’è una strategia di desensibilizzazione sistematica, ovvero l’intento di diminuire l’attenzione delle persone dall’importanza dell’informazione“. “Prima queste notizie non sarebbero state pubblicate, non c’erano i social e c’era una deontologia molto più forte di oggi nella classe giornalistica“, “vediamo il congiungimento di due spinte, una è quella economica per raccogliere click e vendere pubblicità e l’altra è quella di assuefare la gente“, ma “la cosa che più colpisce è che chi è stato eletto come fact checker cioè come controllore dell’informazione, è il principale diffusore di queste fake news“, approfondisce Contri.