Simona è una ragazza che ha perso la madre senza poterla neanche salutare sul letto di morte a causa del protocollo ospedaliero che impedisce ai non vaccinati di far visita ai pazienti, anche quando questi si trovano in condizioni particolari (in fin di vita, per esempio). Adesso scende in piazza al fianco di Raffaele Varvara, Presidente del comitato ‘Di Sana e Robusta Costituzione’ nonché ex infermiere, che ha deciso di abbandonare la professione di una vita dopo essersi visto recapitare un provvedimento disciplinare per aver consentito a una figlia di salutare la madre in punto di morte pur in assenza di green pass. Simona racconta la sua storia nella speranza che vicende come la sua non si ripetano più.

La storia di Simona

Purtroppo non ho avuto la fortuna di incontrare persone come Raffaele, che è stato sospeso proprio per aver concesso a un’altra figlia di salutare la madre in fin di vita. Ho sperimentato anche il grande tema delle cure negate perché se mia madre fosse stata curata ci sarebbe potuta essere ancora, come tutte quelle persone che sono state vittime di quella che è stata definita una ‘strage di Stato’. Mia madre non ha avuto la possibilità di essere curata in modo adeguato ed è stata vittima di un protocollo criminale proposto dal nostro Governo, che prevedeva tachipirina e vigile attesa, e non ha avuto neanche la possibilità di avere vicino i propri cari, quindi se ne è andata da sola. Ho dovuto salutarla attraverso una videochiamata, questo è quello che mi hanno concesso dei dottori all’Ospedale Manzoni di Lecco. L’ho dovuta salutare con un cartello: ‘Siamo lì con te’. Un cartello che ho dovuto fare in due minuti per dirle addio. Questa è una cosa non accettabile. Grazie all’operazione ‘Apriamo le Porte’, organizzata da Raffaele e dal suo comitato, abbiamo avuto modo di colloquiare, tra gli altri, con il Professor Pregliasco, che giustificava tutte le misure adottate in passato (come questa dell’allontanamento dei famigliari anche in condizioni di fine vita del paziente), rifacendosi a motivazioni del tutto tecniche. Di fronte alla mia testimonianza sosteneva che tutto questo fosse stato giusto, corretto e che se mai si fosse ripresentata una situazione di quel tipo, si sarebbero potute ripetere quelle misure. Io non finirò mai di battermi affinché questo non si ripeta più“.

“Dobbiamo ricordare chi sono i veri responsabili di tutto ciò”

Sulla vicenda, Varvara non ha mezze misure: “L’indignazione e la frustrazione che nascono dall’ascolto delle persone di Simona dobbiamo sempre verticalizzarle e ricordare chi sono i veri responsabili di tutto ciò. Noi, proprio con questa ferita aperta, siamo riusciti a dare il massimo e a ottenere un successo al Fatebenefratelli di Milano, ottenendo il libero accesso in condizioni cliniche particolari. Sul fine vita non c’è lasciapassare che tenga, non c’è mai videochiamata che tenga perché mai un telefonino può sostituire il tocco di una mano al letto di un persona. Quando indossavo la divisa, mi ero opposto proprio a questo protocollo disumano e criminale, ho fatto accedere quella figlia al letto della mamma in fin di vita e il giorno dopo mi sono visto recapitare un provvedimento disciplinare, per poi decidere di rassegnare le mie dimissioni dalla professione infermieristica, in quanto aveva perso tutta l’umanità che da sempre l’aveva contraddistinta“.