Il 27 luglio scorso ci lasciava Giuseppe De Donno, 54 anni, ex pneumologo e primario dell’ospedale di Mantova. Era stato il fautore del metodo anti-Covid con trasfusioni di sangue autoimmune, poi bocciato dalla comunità scientifica. Eppure, in molti hanno testimoniato l’efficacia del suo rimedio, tanto da diventare un simbolo per coloro che combattono contro il pensiero unico. Tra questi, Raffaele Varvara, infermiere e Presidente dell’associazione ‘Di sana e robusta costituzione’.

“Il 30 luglio successivo alla sua morte avevamo organizzato una manifestazione sotto l’Ordine degli Infermieri. In quell’occasione, mi colpì uno striscione che è un po’ l’emblema dei tempi moderni: ‘De Donno=Matteotti’. Il suo è il destino che tocca a chi lotta per la libertà, la verità e la giustizia. Io non posso paragonarmi a lui ma nel mio piccolo, con il licenziamento ingiusto che ho subito, ho vissuto sulla mia pelle le ripercussioni del potere quando c’è qualcuno che lo incalza, testimoniando la verità, la libertà e la giustizia”.

“Ora si sta crepando il muro del pensiero unico scientificamente corretto. In generale, De Donno ha avuto il grande merito di combattere il decadimento della scienza medica, che purtroppo riduce la malattia a disfunzione d’organo: questa medicina ha una visione dell’uomo molto riduzionista e materialista, quindi non può che tirare fuori dei protocolli di cura così mortiferi, a base di tachipirina e di una campagna vaccinale squallida. Bisogna apportare una rivoluzione culturale della medicina, un nuovo modo di essere medico, di interpretare la medicina. Questo lo può fare solo una nuova organizzazione che irrompe sulla scena e smentisce un modo di essere medico e ne inaugura un altro più aderente ai bisogni della nuova umanità. De Donno era uno dei pochi che già aveva compiuto questo passo e quindi era un esempio da mettere al bando“.