E’ di ieri, 23 marzo 2022 la notizia dell’entrata in Gazzetta Ufficiale di un decreto che permette ai medici ucraini arrivati in Italia dopo lo scoppio della guerra di iniziare a esercitare la professione nelle nostre strutture ospedaliere. Una misura prevista dal decreto “Misure urgenti” per l’Ucraina pubblicato nella Gazzetta il 21 marzo – massima efficienza in barba alla burocrazia tipicamente italiana – e che sarà valida solo per un periodo temporaneo il cui termine sarà il 4 marzo 2023.
Un gesto di solidarietà per un personale medico i cui titoli di studio non sono riconosciuti in Italia in condizioni normali. Il decreto lascia inoltre spazio alle strutture sanitarie per quanto riguarda la scelta del contratto: a tempo determinato, con incarichi libero-professionali o di collaborazione.

Ma la temporaneità di questo provvedimento non spegne la rabbia per ciò che in Italia è accaduto mesi fa al personale medico nostrano. E’ in effetti un decreto solidale i cui propositi vanno però a scontrarsi inevitabilmente con le sospensioni di massa dei medici italiani non vaccinati, i quali si vedono di fatto sostituiti (temporaneamente) senza sapere se e quando potranno riesercitare la professione.

Subito ha provato a spegnere il fuoco delle polemiche la Fnopi: “La misura non avrà grande valenza per sostituire i nostri infermieri, che hanno un percorso certificato” chiosa la Federazione che raccoglie le professioni infermieristiche, “ma può aiutarci per la mediazione culturale con i tanti pazienti ucraini che ci troveremo ad assistere“. E aggiungono: “E’ fondamentale però chiarire che il decreto non può alla distanza trasformarsi in una sanatoria. Per un’eventuale stabilizzazione è indispensabile verificare la qualità della formazione di questo personale“.
Ma quanto è eventuale questa stabilizzazione? E quando potrà tornare al suo posto chi ha subito la sospensione?
Senza contare, secondo il direttore della Gazzetta Amministrativa Enrico Michetti, che “i medici adesso servono nei territori di guerra, perché è lì che ci sono i feriti, è lì che c’è bisogno di aiuto: togliamo i medici a un paese in conflitto?

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