“Siniša Mihajlović aveva scelto di affrontare innanzitutto se stesso, condividendo, cioè compiendo un’operazione che molti di noi non sono in grado di compiere nemmeno rispetto alle vicende della vita di tutti i giorni”


Nulla che non sia stato detto, o sentito, si potrebbe dire o sentire, in un giorno come questo. Così come nel giorno in cui il suo calvario era cominciato: uno, famoso o meno, ricco o meno, si ammala; di uno dei mali che non guardano in faccia nessuno. Ha già detto qualcuno che si tratta di una delle poche cose realmente democratiche dell’esistenza.

Poi però accade che un altro evento si sovrapponga alla comunicazione della (grave) notizia: che un uomo, celebre, ricco e soprattutto percepito come fortunato dal mondo esterno, voglia lui stesso fare il punto della situazione sulla scoperta più disorientante che un individuo possa fare nella propria esistenza, ossia che l’esistenza stessa si riveli appesa a un filo. Come non era un paio di mesi prima. Come ognuno di noi pensa che sì, possa accadere, ma sempre agli altri.
Se poi nella fattispecie accade a uno che puoi considerare più o meno una star, lo sai sempre dopo, fateci caso.

Siniša Mihajlović aveva scelto di affrontare innanzitutto se stesso, condividendo, cioè compiendo un’operazione che molti di noi non sono in grado di compiere nemmeno rispetto alle vicende della vita di tutti i giorni.

Bando alla retorica del guerriero, del combattente e altri luoghi comuni: aveva parlato anche a nome di chi non riesce a fare altro che chiudersi in se stesso, anche nel rispetto di tutti coloro che abbiamo conosciuto e che conosciamo; dei tanti che all’inizio non volevano nemmeno farsi vedere o uscire di casa, come forse faremmo anche noi. Quindi, se possibile, aboliamo la similitudine del “combattimento”, della guerra da vincere e quant’altro. Pensate che idiozia dover ridurre tutto alla vittoria, se uno guarisce, o peggio, molto peggio, alla sconfitta se uno non riesce a guarire. Non è forse la più bestiale, irrispettosa delle semplificazioni? Usiamo invece il verbo attraversare, con la speranza di compiere il percorso fino alla fine, sapendo quanto possa essere difficoltoso e accidentato; conoscendo in partenza le statistiche, impietose, che ci dicono quanti ce la fanno ad arrivare al traguardo, quanti sono costretti a fermarsi prima.

Nel prendere a calci in bocca la sua angoscia, aveva scritto una epocale pagina di comunicazione. Tante altre cose avrebbe anzi voluto dire. Tutto ha tentato, pur di attraversare la sua malattia.

Per darsi coraggio, ci aveva dato coraggio.

Paolo Marcacci