Il modello italiano di prevenzione e cura del contagio del Covid-19 ha sollevato dibattiti e forti contrapposizioni. In particolare sotto la lente d’ingrandimento è finito il meccanismo della vigile attesa domiciliare. Un’impostazione basata sul monitoraggio dello sviluppo della patologia e sull’assunzione domestica di paracetamolo.

Proprio le linee guida del Ministero della Salute per la gestione domiciliare dei pazienti Sars-Cov-2 hanno dimostrato numerose criticità. In particolare è stato evidenziata la vulnerabilità di tale approccio basato su un pericoloso temporeggiamento e non su una precoce anamnesi seguita da un tempestivo intervento medico. Il tema delle cure domiciliari, attraverso per esempio la terapia degli anticorpi monoclonali, è stato estromesso dal dibattito pubblico in favore del solo tema della campagna vaccinale.

Le resistenze e i ritardi dell’AIFA nell’autorizzazione dei monoclonali ha comportato ulteriori difficoltà nell’adottare un sistema di cure domiciliari efficaci e tempestive alternativo alla vigile attesa. Si delinea allora una inquietante domanda: quante vite potevano essere effettivamente salvate?

La denuncia delle dott. Maria Rita Gismondo sui ritardi nell’autorizzazione dei monoclonali salvati

“Non possiamo non ricordare il sito del Ministero della Salute che disconoscendo gli schemi delle cure domiciliari messi appunto da centri di ricerca autorevoli, parlo del Mario Negri e del prof. Remuzzi, il Ministero ha continuato a consigliare una vigile attesa. Con la vigile attesa è la sicurezza verso la malattia severa e il decesso.

In qualsiasi patologia quello che fa la differenza è la diagnosi precoce ed intervenire precocemente, attendere in sanità vuol dire impedire l’intervento, vuol dire avere meno probabilità di cura e di esito positivo. Quanti morti ha procurato la vigile attesa in Italia? Quanti morti o ricoverati in terapia intensiva avremmo potuto risparmiare se l’AIFA, velocissima in alcune situazioni, non avesse perso mesi per autorizzare l’utilizzo dei monoclonali salvavita.

Ben due volte, malgrado fossero autorizzati in altri paesi, l’AIFA ha respinto la documentazione perché insufficiente. La terza volta è stata pressata e direi minacciata dalla federazione dell’Ordine dei Medici, dai ricercati e dagli scienziati perché li autorizzassero. Nei discorsi istituzionali i monoclonali sono rimasti assenti. I medici non sono stati invitati ad usarli e formati per utilizzarli. Migliaia di dosi arrivate alla scadenza sono state regalate all’Ungheria perché ne abbiamo utilizzate circa 1100 su centinaia di migliaia acquistate”