Mi scrive una signora sul gruppo Telegram dell’Economia Umanistica: “Mi chiedevo, quando è accaduto storicamente, che il termine bene si sia iniziato ad usarlo in economia riferendosi alle cose. Un termine che etimologicamente ha la stessa radice di ‘benedire’, di ‘beato’, quindi un termine che rimanda allo stato interiore dell’individuo. Il risultato è che alla fine siamo diventati schiavi dei beni, ovvero delle cose che sono necessarie al nostro stile di vita. Oggi servono sempre più soldi, ma più soldi è uguale a meno tempo per noi, per la nostra interiorità, per avere momenti di solitudine creativa”. Firmato: Loredana Conti.

L’economia umanistica è un qualcosa che stiamo scrivendo insieme. E ogni tanto, tra le migliaia di messaggi, ne leggo qualcuno che io considero particolarmente profondo. E’ un discorso di crescita felice dell’uomo, esattamente l’opposto della decrescita felice. Solo che bisogna ragionare sul fatto che storicamente il bene, ad un certo punto, si sia usato in economia riferendosi alle cose. Effettivamente è una domanda interessante. Uno spostamento da una visione interiore del bene ad una visione esteriore ci ha portato ad essere schiavi del tempo. E questo è uno dei problemi più gravi: avere più soldi per mantenere uno stile di vita significa avere meno tempo per noi, per la nostra creatività.

Malvezzi​ Quotidiani, pillole di economia umanistica con Valerio Malvezzi