La pandemia delle fake news: nell’ultimo anno si sono susseguiti come mai, nella storia dell’informazione, comunicati e controcomunicati per circuire ed eliminare le cosiddette “notizie false”; un’operazione che non di rado si rivela essere una strategia che non ha davvero nelle corde la scoperta della verità, bensì la delegittimazione di una notizia scomoda.
Ma gli step nell’infodemia sul coronavirus si sono susseguiti velocemente, fino ad arrivare alla vera e propria demonizzazione delle cosiddette “fake news”. Demonizzazione che ha dato il la perfino a task force contro le false informazioni quando non a veri e propri ministeri della Verità.

Ha suscitato scalpore in tal senso il comunicato del ministro della Salute Roberto Speranza, presente sul sito del Ministero, in cui si palesava un accordo con il motore di ricerca Google e la piattaforma YouTube per indirizzare tutte le ricerche di informazioni sul Covid allo stesso portale del Ministero.
Solo la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità: è possibile fidarsi di chi si fa portavoce di un proposito del genere?
Lo abbiamo chiesto a ‘Un Giorno Speciale’ al deputato di Fratelli d’Italia Galeazzo Bignami, che ha ovviamente rigettato al mittente e, di più, non le ha mandate a dire al ministro.

Uno dei più grandi diffusori di fake news è Roberto Speranza, perché quando lui dice che non c’è un manuale – come ha scritto sul suo libro – è una balla! Il manuale c’è e si chiama piano pandemico. A dirlo non sono io, ma il direttore scientifco dello Spallanzani Giuseppe Ippolito. Quando Speranza dice nel suo libro che la trasparenza è un punto di forza, è una fake news! Quando Speranza dice che eravamo prontissimi, è una fake news!
Il primo diffusore di fake news è il ministro della Salute che ha detto delle cose false e finalmente dai documenti – che i giudici gli hanno costretto a mostrare – iniziano ad emergere. Secondo me siamo all’inizio di una vicenda che dovrà essere approfondita. Se non solo ha lavorato male, ma ha anche cercato di fregarci dicendo di aver lavorato bene, deve andare a casa e deve pagare per i suoi errori
“.