Ora è ufficiale: la Roma è di Friedkin. Il closing tanto atteso è stato completato come previsto. La società giallorossa passa dalla gestione di James Pallotta alle cure dell’imprenditore texano.

Una trattativa lunga, tortuosa e colma di criticità ha finalmente portato a termine la sua ultima scalata. Il popolo romanista attende speranzoso importanti novità sull’organigramma dirigenziale e sulle prossime mosse di mercato.

Nel corso di ‘Radio Radio Lo Sport’ il Direttore Ilario Di Giovambattista ha chiesto alle nostre Teste di calcio i primi pensieri a caldo sul nuovo corso capitolino targato Dan Friedkin

melli

Franco Melli

Il primo pensiero è di ricordagli che cosa è la Roma. La Roma prima di tutto è una passione. Una volta si diceva: ‘La Roma non si discute, si ama’. La Roma storicamente non è stata famosa per il numero di vittorie ma per il rapporto molto particolare e passionale con la propria tifoseria. Tifoseria che qualcuno ha cominciato a chiamare ‘clientela’. C’erano invece dei veri e propri innamorati che parlavano di Roma 24 ore al giorno. Io direi a Friedkin che non è difficile fare meglio di Pallotta. Lui non ha vinto niente e in parte ha distrutto quelli che erano i rapporti. Sarà importante ricostruirli.

Alessandro Vocalelli

Io gli direi di venire a Roma, o comunque di lasciare suo figlio che racconti le cose come stanno. Non c’è peggior cosa dei ‘riportini’, molti dei quali distorti. Chi avrà l’effettiva gestione della società deve vedere tutto di persona. Direi poi, come dice Franco Melli, di ricostruire soprattutto il rapporto con la tifoseria e con la gente. Il patrimonio della Roma non è il valore delle azioni o dei milioni che sono stati messi a disposizione, ma il patrimonio della Roma è la tifoseria. Il resto verrà di conseguenza.

Stefano Carina

Io, oltre alle cose già dette in precedenza, aggiungo la chiarezza. Questa è una piazza che, se tu parli chiaro, è capace di aspettarti. Qui invece abbiamo visto, nel corso degli anni, il passaggio dal progetto Luis Enrique al progetto Borussia Dortmund per poi passare al progetto Atletico Madrid. In nove anni abbiamo visto cambiare di volta in volta il progetto a seconda degli umori presidenziali. Bisogna partire con un progetto, spiegarlo alla gente, e avere la forze di portarlo avanti tranquillamente. Cercare di non cambiare oltre 140 giocatori, tantissimi allenatori, tantissime strategie. Bisogna dare più continuità.

Paolo Marcacci

Io sono stato anticipato da Stefano Carina nell’invocare soprattutto la chiarezza. La trasparenza direi, proprio nel senso filosofico del termine. Il popolo dei tifosi della Roma è un popolo che ha sempre saputo accettare in varie fasi anche il sacrificio, a volte anche la diminutio degli obiettivi. Pur essendo sempre stato un popolo a cui è piaciuto lo slancio dei sogni, anche quando non se li poteva permettere. Poi aggiungerei anche un’altra parola, la più importante di tutte: appartenenza. Nell’esperienza che si è appena chiusa questo, secondo me, è stato il grande difetto. Pretendere di venire qua, nella mappa dei riferimenti sentimentali di generazioni di tifosi della Roma, per insegnare una nuova maniera di fare il tifo pretendendo anche di giocare con tante cose. A cominciare dai simboli. Non si può arrivare e pretendere di cambiare una mentalità.

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