A cavalcare l’onda dei tanto decantati ed utili web/streaming/on demand si finisce per inserirli un pò ovunque, a caso. Dalla scuola agli spettacoli, dal cinema ai corsi di formazione, manca solo che qualcuno pensi di proporre lo streaming per i ristoranti, del tipo che guardi in tv uno seduto al ristorante che mangia ma il conto lo paghi tu.

L’idea di un “Netflix della cultura” fa abbastanza ridere. E’ una cosa morta in culla (di questo parlerò in un altro articolo), anzi già nel pensiero. Basti notare che, con tutto lo sforzo profuso dalle menti geniali che l’hanno partorita, nemmeno un nome sono riusciti a dargli. Hanno dovuto prendere in prestito quello di un’altra piattaforma. Avrebbero potuto dire “teatro in streaming” ed avremmo comunque capito tutti. Oppure avrebbero potuto nominare il servizio pubblico che va online, Raiplay, visto che a parlare per primo di questa trovata è stato il ministro della cultura.

Voglio soffermarmi sulla effettiva necessità di “spostare” cose che hanno nella relazione il loro vero valore aggiunto (scuola, eventi, etc.) come “unica” risposta all’emergenza. Condizionare un evento ad un limite di capienza (dovuto alla crisi sanitaria in corso) e contemporaneamente proporre alternative dematerializzate significa pianificare, per il futuro, una società nella quale ci basterà ancor di più avere tutto a portata di smartphone. Non che oggi sia molto diverso, certamente.

Invece di pensare a come fare di tutto per reagire proattivamente alla situazione, si sceglie la via di fronteggiarla passivamente, adeguandosi senza resistere e senza dar fondo a tutte le possibili alternative per mantenere un buon livello sociale.

Prima di spendere soldi pubblici per un archivio digitale di opere, certamente più utile alla comunicazione che ai fruitori, mi chiederei come posso impiegare quelle somme ad esempio per mettere al massimo livello di sicurezza tutto il comparto, dai lavoratori agli spettatori. Oppure mi chiederei, più in generale, come tenere in piedi aziende le cui tasse servono anche per finanziare le idee più bislacche.

Insomma farei di tutto per non cedere alla facile tentazione di dire “c’è internet, andiamo lì“. E non è una riflessione dovuta solo alla condizione di esercente teatrale, ma scaturisce dalla fiera consapevolezza di aver scelto di intraprendere un’attività di impresa che non produce guanti, mascherine, bicchieri o armadi, ma produce emozioni, produce relazione, produce benessere inter ed intra personale e contribuisce ad aumentare quel famoso sviluppo culturale di una città che è punto fondamentale del bilancio sociale.

D’altronde, per non cedere alla soluzione pronta subito e senza impegno, occorre pensare, e per pensare occorre conoscere, e per conoscere occorre avere esperienza. E se non hai queste cose, devi circondartene scegliendo giusti collaboratori. Ma per scegliere giusti collaboratori devi conoscere a fondo il problema, e per conoscere a fondo il problema devi avere esperienza, e per avere esperienza…

Gianluca Cassandra