Zuppa di patate al tartufo, filetti di acciughe aromatizzate al tartufo, patatine al tartufo: gli scaffali dei supermercati sono pieni zeppi di alimenti che contengono l’aroma del famoso fungo ipogeo.

Ma siamo sicuri che si tratti di quello naturale e non di un prodotto di sintesi?

A novembre si è tenuta la trentaquattresima edizione della Mostra Mercato del Tartufo Bianco delle Crete Senesi di San Giovanni D’Asso, nell’ambito della quale l’Associazione Tartufai Senesi ha organizzato un convegno sul tema in questione. In particolare, l’attenzione si è concentrata, in quella occasione, sulla necessità di sensibilizzare i consumatori sui prodotti sintetici e sulle differenze tra questi ultimi e i tartufi naturali. Saper distinguere un tuber autentico (è questo il nome scientifico del pregiatissimo fungo), trovato nel bosco, da un “vegetale” creato in laboratorio è fondamentale, per tante ragioni.

Innanzitutto, per apprezzare al meglio il gusto vero del tartufo, nelle sue diverse specie, e in secondo luogo per fare acquisti consapevoli. Comprare un olio aromatizzato “artificialmente” significa non solo portare a tavola qualcosa di poco genuino (è comunque una scelta, anche se non consigliabile), ma anche farsi ingannare dal punto di vista economico. Il più delle volte, infatti, quel genere di prodotti ha un prezzo che probabilmente è stato gonfiato. Del tartufo, in quegli alimenti, non c’è che il nome.

Molti di quei cibi contengono per lo più un idrocarburo ricavato dal petrolio, il bismetiltiometano, che ha un aroma che ricorda quello dei tartufi.

Si tratta in realtà di un composto organico solforato presente anche in natura, all’interno dei funghi ipogei. Il punto è che per conferire ai vegetali un aroma ancora più intenso, l’industria alimentare aggiunge il prodotto di sintesi al frutto della terra. Insieme agli altri elementi contenuti nei funghi ipogei, questo composto conferisce loro il caratteristico sapore che tutti conosciamo, peccato che si usi il suo corrispettivo sintetico per creare quell’effetto “puzza”, che erroneamente molti interpretano come sinonimo di qualità.

Il Presidente dell’Associazione Tartufai Senesi sostiene che l’uso del surrogato, in luogo dell’aroma autentico (che ha ovviamente costi più elevati) stia confondendo i consumatori, compromettendo la percezione che il palato ha del gusto del tartufo. Quello bianco, per esempio, ha un aroma leggero e molto armonico; per dirla con altre parole non puzza e la sua pregevolezza è espressa proprio attraverso questo tratto. In ogni caso, per sapere se un alimento contenga o meno l’aroma naturale dei funghi ipogei, basta leggere l’elenco degli ingredienti. Se tra questi compare la parola “aromi”, allora vuol dire che quegli aromi sono “sintetici”.

Fonte: Prodigus.it