Suvvia non facciamo le sign…ehm no, non è l’inizio ideale: stavamo per caderci anche noi. Nemmeno il termine “educande” va bene, perché si offenderebbero le collegiali di tutto il mondo, ammesso che ancora esistano. Allora mettiamola così: il puritanesimo linguistico anche no, ecco. Ci permettiamo di dirlo proprio perché, a cominciare da chi scrive, siamo sempre in prima linea contro ogni manifestazione, linguistica e non, di sessismo, maschilismo o discriminazione fra i sessi. 

Ora, Petrachi domenica scorsa, al termine della partita contro il Cagliari, era esacerbato come e quanto Fonseca, lo staff tecnico della Roma e i suoi giocatori. Qualche minuto dopo, ai microfoni, la sua voce aveva ancora le inevitabili vibrazioni adrenaliniche. Tutto nella “norma”, a parte gli eccessi verbali. Però c’è eccesso ed eccesso, se permettete.

Le “signorine” del ben noto paradigma non sono una sua espressione originale (daremmo ben altro giudizio in tal caso): in quel momento fa ricorso a una frase fatta, peraltro se vogliamo anche arcaica e desueta, che più fatta non si potrebbe. Peraltro, il tempo e gli eventi hanno reso anche insussistente l’accostamento, visto che il movimento calcistico femminile ha fatto passi da gigante, mondiali compresi e che una ballerina sopporta ritmi di allenamento che equivalgono mediamente al triplo di ciò cui si sottopongono un calciatore o una calciatrice.

Poteva trovare un’espressione migliore, più elegante e soprattutto meno anacronistica, non c’è dubbio. 
Sorprende, però, senza voler chiamare in causa minimante i rispettivi colori di appartenenza, che ci sia stata tale levata di scudi in giorni in cui si era da poco reduci dalla infelice uscita di Lotito sulla “pelle normale” (declassata subito a lapsus) e al (presunto) calembour di Ignazio La Russa sul “pisello grande” (sic) di Lukaku. Suvvia…

Paolo Marcacci


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