Disabilità. Una parola che dovrebbe essere sinonimo di accoglienza e di rispetto nei confronti di lotta ogni giorno della sua vita per convivere al meglio con la propria limitazione, ma che non sembra essere stata recepita allo stesso modo da alcuni cittadini nella società di oggi.

Stando agli ultimi casi di cronaca, si sta radicando una preoccupante deriva che sembra sfociare in una dilagante intolleranza e, nei casi più eclatanti, in un vero e proprio tentativo di sopraffazione.

Come nel caso di Valentina Tomirotti, la trentaseienne affetta da displasia diastrofica che è scesa, con la sua carrozzina, in piazza per manifestare il proprio dissenso, a termine del comizio di Salvini a Porto Mantovano. A terra tre cartelli, esposti da un ragazzo: “La libertà è partecipare, non sottomettere”, “Saremo mosche nella tua minestra” e “Hai rotto i barconi“. Ed è su quest’ultimo manifesto che è salita con le ruote della sua carrozzina Valentina, un’azione di protesta silenziosa che non è piaciuta a un anziano militante leghista.

L’uomo ha strappato il cartello sotto la carrozzina della donna, urlandole poi contro: “Sei handicappata“. Atteggiamenti tutt’altro che democratici nei confronti di una persona che sta manifestando liberamente il proprio pensiero, senza peraltro schiamazzi o urla da stadio.

E, sulla scia di questa preoccupante ondata sociale degenerativa, non possono che definirsi agghiaccianti le dichiarazioni tra i genitori egiziani di una bimba disabile di 3 anni e mezzo. “La scimmia è un grosso problema per noi, ora che stai con lei in ospedale capirai cosa provavo io quando stavo con lei tutti i giorni in casa. Le abbiamo rotto il braccio ma dovevamo fare di più. La odio, è lei la causa dei nostri problemi“. Scimmia, la chiama la madre, mentre parla con il marito. Un epiteto correlato da maltrattamenti, lesioni gravi e tentativi di avvelenare la piccola.

Sebbene la corsa dei ‘genitori’ della bimba sia giunta al capolinea ore fa (i due sono stati arrestati a Milano dalla polizia municipale, che già da metà maggio monitorava la situazione) e i due casi di cronaca non siano comparabili, a far riflettere è, tuttavia, un unico comune denominatore: l’intolleranza.

L’insofferenza nei confronti di chi, su una sedia a rotelle, rivendica il diritto di poter esprimere la propria opinione. L’agghiacciante tentativo di mettere fine, con le proprie mani, a una vita hai dato al mondo.

E’ vero, non si può fare di tutta un’erba un fascio, ed è indubbio che possano verificarsi dei casi limite. Ma se smettiamo di indignarci, se non facciamo risuonare i campanelli d’allarme di una coscienza civile che, sempre più spesso, tendiamo a tenere sopita, questa deriva sociale prenderà piede. Che possa trovarci preparati, oppure no.