/ …E il modo ancor m’offende…/

Dante, Inferno, Canto V

Non è il momento per criticare la gestione dei tempi e delle modalità, ci riserviamo di farlo tra qualche settimana, perché anche questa è una parte della vicenda che merita un approfondimento.
Oggi, però, è il giorno delle emozioni. A cominciare dalla sorpresa, fulmine a ciel sereno che disorienta; pur in questo strano cielo, di questo strano maggio. 

L’ultima Maglia, con la maiuscola, che viene sfilata, lascia vuote tutte le altre. Non solo per i diciotto anni, non tanto per le 615 presenze o per i 63 gol: questi numeri possono essere, certamente, lo scheletro dei sentimenti. Ma per incarnare l’appartenenza ci vuole altro: ci vuole la capacità di entrare subito a far parte di una storia, mentre si deve ancora scrivere la propria.

Di Daniele De Rossi, sin dagli esordi, si capì subito che sarebbe stato destinato a identificarsi con la Roma.

A maggior ragione perché si era nel pieno dell’era Totti; un’era con la quale De Rossi ha imparato a convivere da leader differente, interpretando un dualismo non cercato, ma indotto, alla luce del proprio modo di vedere il calcio e il mondo. Ha saputo incarnare la Roma pur sotto un altro, insostituibile re. La Roma come entità, come patrimonio sentimentale, quasi modo di essere. Lasciamo da parte la Roma società, come abbiamo già ribadito, perché altrimenti dovremmo già oggi testimoniare di essere stati relegati in un sottoscala per assistere al tramonto più intenso, se la similitudine rende l’idea.

È costretto all’ultimo tackle, come tanti ne ha effettuati e avrebbe voluto, nei limiti del possibile, continuare a effettuarne. Con la differenza che ora la sua entrata ci colpisce al cuore: abbiamo la presunzione che valga, almeno in parte, anche per i non romanisti.
Ci piace pensare che quest’ultima Maglia, tirata fino a strapparla per l’ultimo contrasto, lasci sul terreno del prossimo Roma – Parma brandelli di memoria, dai quali possano germogliare modi differenti di stare vicino ai tifosi. Rabbia e malinconia non passano oggi, nemmeno domani.

L’avremmo pensato tra un anno, tra due, allo stesso modo. Siamo costretti a sottolinearlo oggi, perché né noi né Daniele De Rossi abbiamo potuto decretare i tempi e i modi che avremmo ritenuto rispettosi: non tutto è andato come avrebbe dovuto; non sempre il rapporto è stato al sicuro dal rischio di una brusca interruzione; ma, proprio per questo, è stata una lunga, inimitabile storia d’amore. 

Paolo Marcacci