Cosa hanno in comune Banksy, Mina e i Daft Punk? Scomodando e prendendo in prestito le parole di Lenny Belardo della serie tv di Paolo Sorrentino, “The Young Pope“, sono figure rappresentative nei loro rispettivi campi che non si fanno “vedere. Nessuno di loro si lascia fotografare“.

Quell’alone di mistero, unito all’indiscusso talento di questi artisti, riesce a farla da padrone e a contribuire così alla diffusione e al consacrazione della loro arte. Perché è ciò che contempliamo solo parzialmente o percepiamo alla lontana ad attrarci come una mosca con il miele. Ci lamentiamo di ciò che non possiamo vedere ma, al tempo stesso, non possiamo fare a meno di parlarne. Ne abbiamo bisogno, che dir si voglia.

In quest’ottica, tuttavia, si fatica a trovare collocazione a un caso come quello di Pamela Prati e Mark Caltagirone, il suo fantomatico promesso, ad ammissione della stessa showgirl, inesistente. Il suo nome ha riempito pagine di rotocalchi e speciali di noti programmi tv, è stato protagonista di parodie e fotomontaggi sui social, e nelle chiacchiere delle persone che vi circondano o di sconosciuti mentre, ignari, facevate la fila al supermercato. La sua ‘presenza-assenza’ si conta persino in un seggio elettorale di Palermo dove, in occasione delle elezioni europee, un elettore ha scritto sulla scheda rosa ‘Voto per Mark Caltagirone’. Percepibile, neanche a dirlo, lo sgomento del Presidente di quel seggio.

Diciamolo francamente: il caso del promesso sposo di Pamela Prati, imperante per mesi, è basato su quell’evanescenza che nulla ha a che vedere con quell’ambiguità che, invece, ammanta alcune personalità influenti del mondo dello spettacolo e della cultura.

E allora perché questa ‘spy-story’ mediatica, seppur ben messa a segno, continua ad essere sulla cresta dell’onda? Perché abbiamo bisogno di parlare di uno che, per stessa ammissione di due su tre delle dirette interessate della vicenda, Pamela Prati e una delle sue agenti Pamela Perricciolo, non esiste?

Perché nella società odierna vige la regola “bene o male che se ne parli, purché se ne parli“. Anche se si tratta di basare le nostre conversazioni non su indiscrezioni di artisti reali e ammantati sì dal mistero, ma consapevoli di aver portato in auge la loro arte, ma su figure evanescenti.

Molto rumore per nulla” titolava William Shakespeare una sua delle sue più famose opere. E mai, come in questo caso, frase risultò più attinente.