È ufficialmente diventata legge la norma che prevede che il femminicidio venga considerato un reato in Italia. All’apparenza si tratta di una disposizione giusta e sensata, poiché nessuno di buonsenso negherebbe che uccidere una donna sia un reato. Ma, come spesso accade, il diavolo si nasconde nei dettagli, per usare la sempre valida formula di Goethe.

Femminicidio – Il non sequitur giuridico

Il riconoscimento del femminicidio come reato nell’Italia del 2025 figura sic et simpliciter come una idiozia bella e buona, dato che anche prima, naturalmente, l’uccisione di un individuo di sesso femminile era punita come ogni altro omicidio. Detto altrimenti, il reato di femminicidio avrebbe senso in un contesto in cui l’uccisione delle donne non fosse punita, ma dato che già era punita alla stregua di tutti gli altri omicidi, il reato di femminicidio introdotto ora appare a tutti gli effetti un non sequitur.

Femminicidio – Una gerarchia degli omicidi

Detto ancora più chiaramente, prima che il femminicidio diventasse reato, uccidere una donna era già un reato. E allora, a che serve l’introduzione di questa nuova tipologia penale? Semplice: a fare in modo che l’uccisione di una donna diventi più grave di quella di un uomo o, se preferite, che l’uccisione di un uomo risulti meno grave di quella di una donna. La stupidità di questa nuova norma, figlia del tempo del logos evaporato, emerge chiaramente se si considera che con essa vengono a esistere omicidi di serie A e omicidi di serie B, e dunque esseri umani di serie A e esseri umani di serie B, come se appunto uccidere una donna fosse più grave che uccidere un uomo.

Conflitti orizzontali e distrazione ideologica

Secondo quanto già detto, si tratta di una decisione perfettamente in linea con lo spirito del nostro tempo senza spirito. Il nuovo ordine erotico del neoliberismo si regge sulla defocalizzazione dello sguardo rispetto al conflitto di classe tra sfruttati e sfruttatori, uomini o donne che siano. Prova a sostituirlo in ogni modo con conflitti orizzontali che svolgano una funzione eminentemente distrattiva. Tra questi conflitti spicca naturalmente la guerra di genere tra maschi e femmine, mediante la trasformazione ideologica dei primi in carnefici e delle seconde in vittime.

Classe, non genere

Lo ripeteremo all’infinito: il conflitto non è tra maschi e femmine, ma tra sfruttati e sfruttatori, e ciò a prescindere dal sesso di appartenenza. In ogni società, da quella egizia a quella odierna, una donna dei ceti abbienti ha sempre avuto più potere di un uomo delle classi dominate, dall’epoca di Cleopatra a quella di Ursula von der Leyen. Questo è il punto fondamentale della questione, che ci permette di capire che cosa vi sia dietro rispetto alla questione del nuovo reato introdotto di femminicidio.