Non chiamatelo green pass che con il latinorum dei mercati anglofoni lo state già legittimando. Proprio come accade ricordate con i lemmi austeri tipo spending review. Lemmi che presi in prestito dalla lingua dei mercati finiscono impropriamente per legittimare l’oggetto in questione, presentato come qualcosa di autorevole, necessitato dalla situazione. Chiamatelo allora come il suo vero nome: infame tessera verde della discriminazione, dell’apartheid terapeutico. Chiamatela così ogni volta sempre e comunque, soprattutto con chi ve la chiede, per ricordargli senza perifrasi il suo ruolo reale di ufficiante del regime dell’apartheid terapeutico ma poi chiamate infame tessere verde anche con chi solo la nomina, con chi l’esalta, con chi ne parla con riserva, con chi la mostra, con la pretende e con chi la mette in discussione. Il primo gesto rivoluzionario è smettere di usare la lingua padronale e coniarne una nostra, del basso e per il basso, Per questo è così importante pensare altrimenti, provare a rovesciare le grammatiche dominanti perché noi siamo dominati nel pensiero e per il tramite del pensiero. Le cose sono mediate dal pensiero e dal linguaggio e quindi se noi siamo dominati nel linguaggio e nel pensiero finiamo inevitabilmente per dipendere dai padroni del discorso e dai monopolisti della parola.

In fondo il classico paradigma dell’antro platonico si regge esattamente su questo. Se i cavernicoli permangono nella loro schiavitù e anzi pensano che essa coincida con la libertà anzi con la sola libertà possibile, ciò dipende dall’operato solerte e zelante dei sofisti nascosti dietro il muretto che proiettano immagini false sul fondo della caverna e che quindi illudono i cavernicoli circa la realtà mostrata diversa rispetto a come è, esaltata, celebrata, inducono i cavernicoli appunto a rimanere là sotto, scambiando il mondo dell’ingiustizia massima per il solo possibile, quindi per quello giusto. Ecco perché citando in questo caso il Pasolini di Petrolio, il suo ultimo romanzo, dobbiamo smetterla di parlare la lingua dei padroni, dobbiamo coniare una nostra lingua che sia rappresentativa del basso e per il basso. Destra e sinistra rappresentano l’alternanza senza alternativa, sono entrambi i rappresentati dell’interesse dall’alto del padronato cosmopolitico, che vinca la destra bluette o la sinistra fucsia vince in ogni caso l’alto, il padronato, il basso resta puntualmente non rappresentato nei suoi interessi. Ecco che allora dobbiamo andare al là di destra o sinistra e ricostruire le grammatiche del basso e della loro emancipazione.

Dobbiamo, direbbe Gramsci andare al popolo per provare a condurlo molecolarmente fuori dalla sua passività e per andare al popolo dobbiamo iniziare a coniare una lingua del popolo che rovesci le grammatiche dominanti. Dobbiamo chiamarla glebalizzazione anziché globalizzazione, dobbiamo chiamarlo libero cannibalismo anziché libero mercato, dobbiamo chiamarla rapace aggressione dei beni comuni anziché privatizzazione e dobbiamo, dulcis in fundo, chiamarla infame tessera verde della discriminazione a norma di legge anziché green pass, nome anglofono che finisce per giustificare l’ingiustificabile facendolo apparire quasi smart e amabile mediante all’impiego della lingua dei mercati. Ebbene la prima lotta è quella culturale, la lotta di classe contro il padronato cosmopolitico deve essere inizialmente e principalmente almeno nelle sue fasi iniziali una lotta nel linguaggio e nella cultura. Solo se si ha una propria visione del mondo si può combattere quella del nemico, non può esservi un partito rivoluzionario, un movimento rivoluzionario, un gruppo rivoluzionario se prima non c’è una teoria rivoluzionaria e per elaborare una teoria rivoluzionaria ci vuole anzitutto un linguaggio rivoluzionario.

RadioAttività, lampi del pensiero con Diego Fusaro